Nel caos siriano di questi ultimi giorni c’è un unico punto fermo: l’offensiva nel nord-ovest dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham – fino alla scorsa settimana posizionati nella piccola provincia di Idlib – ha colto quasi tutti di sorpresa.
La conflitto siriano era cominciata nel 2011. Prima una rivolta popolare contro il regime sanguinario di Bashar al-Assad – era il periodo della primavere arabe – poi un guerra civile senza quartiere. Un tutti contro tutti. Con la rivolta popolare in buona parte soppiantata da una miriade di gruppi jihadisti, e con diversi attori esterni che hanno utilizzato il territorio siriano per colpire i loro nemici, la tradizionale guerra per procura. Assad è riuscito a rimanere al suo posto grazie al supporto di Russia e Iran. Tehran, nello specifico, ha utilizzato anche gli alleati dell’Asse della Resistenza, a partire dagli Hezbollah libanesi.
Nel 2020 – quando il regime era ormai riuscito a riprendere la maggior parte del territorio, soprattutto le grandi città – il conflitto venne praticamente congelato. Il simbolo è stata proprio la piccola provincia di Idlib, nel nord-ovest, dove governo e ribelli di Hayat Tahrir al-Sham siglarono un cessate il fuoco supervisionato da una parte della Russia e dall’altra dalla Turchia.
Damasco non controllava anche il resto del nord, in mano ad altri gruppi ribelli alleati di Ankara e alle milizie curde, che gli Stati Uniti avevano usate per combattere e sconfiggere l’ISIS negli anni precedenti, ma che la Turchia, seppur membro NATO alleato degli americani, attacca regolarmente.
Un quadro complesso, risultato di un conflitto fatto di diverse guerre, una sovrapposta all’altra, con alleanze variabili.
In generale oggi il quadro non è cambiato, ma con il passare degli anni è cambiato il peso di tutti questi attori, soprattutto lato regime. Assad ha dovuto fronteggiare una gravissima crisi economica. La Russia, che aveva bombardato e raso al suolo molte zone urbane, compresa Aleppo, ha spostato quasi tutte le sue risorse militari in Ucraina. L’Iran è ormai alle prese con Israele e con i colpi inflitti proprio dagli israeliani al suo Asse della Resistenza, basta citare gli Hezbollah libanesi, e questo è successo anche in territorio siriano.
Sembra che Hayat Tahrir al-Sham – in passato, con il nome di Fronte Nusra, legato ad al-Qaida – abbia valutato che questo fosse l’unico momento possibile per mettere in crisi il regime. Ed è difficile pensare che i turchi – oltretutto presenti sul territorio a Idlib in virtù del citato accordo di cessate il fuoco con la Russia del 2020 – non lo sapessero.
Ancora in queste ore Ankara ha sì negato ogni coinvolgiment ma ha anche invitato le parti a trattare. Nei mesi scorsi Erdogan aveva inviato Assad una trattativa proprio per decidere il futuro del nord della Siria. Formalmente un negoziato tra i diversi attori siriani ma con un ruolo anche per la Turchia.
Damasco aveva rifiutato.
La mossa dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham, che da tempo cercano di presentarsi non più come un gruppo jihadista ma come un’organizzazione che si oppone al regime di Damasco, potrebbe essere la mossa estrema per convincere Assad a trattare.
Dal 2011 il regime ha sempre escluso ogni tipo di trattativa, e come già suo padre in passato Bashar al-Assad ha dato ordine ai suoi di usare solo la repressione. I numeri conservativi dicono che la guerra civile abbia fatto almeno 500mila morti e 12/13 milioni di profughi. Senza contare le decine di migliaia di prigionieri nelle carceri siriane.
Il quadro di oggi risente quindi di dinamiche sia interne che esterne.
E anche l’esito di questa vicenda sarà il risultato di una complicata combinazione di variabili locali, regionali e internazionali.
Dal punto di vista militare è molto difficile che i ribelli riescano a puntare su Damasco. Gli manca l’aviazione. Ed è probabile che anche gli attori esterni, più o meno coinvolti, non lo vogliano, perché aggiungerebbe ulteriore instabilità a una regione già in fiamme. In queste ore per esempio l’Agenzia Reuters cita sue fonti secondo le quali nelle scorse settimane gli Stati Uniti abbiano addirittura valutato di togliere le sanzioni ad Assad, se il presidente siriano dovesse mai tagliare i legami con Iran ed Hezbollah. Sviluppo impossibile ma comunque valutato dagli americani. Anche esponenti politici dell’opposizione siriana all’estero stanno parlando di disponibilità a una trattaiva che preveda però una transizione. Vista come dicevamo l’assoluta rigidità del regime, fin dalla sua nascita nel 1970, siamo nel campo dell’impossibile. Ma le pressioni su Damasco aumentano.
Un ruolo potrebbe anche averlo il riavvicinamento, negli ultimi anni, tra Iran e Arabia Saudita, i due ex-nemici in Medio Oriente che avevano contribuito ad alimentare la guerra per procura all’inizio del conflitto siriano: Tehran con Assad, Riad con una parte dell’opposizione armata.
Se però i ribelli dovessero prendere Hama, la più grande città sotto Aleppo, e avvicinarsi a Homs – a metà strada tra Damasco e la costa mediterranea, storica roccaforte della comunità di rifeimento della famiglia Assad, quella alauita – il regime sarebbe a rischio. Così come sarebbe a rischio se dovessero cominciare rivolte anche in altre zone del paese.
Al momento non lo possiamo prevedere.