
Un appello inascoltato da mesi. La Federazione del calcio internazionale, la Fifa, continua a lasciare senza risposta la richiesta di applicare ciò che prevederebbero le sue stesse regole e quindi continua a rifiutare di sanzionare chi le viola.
L’anno scorso la Federcalcio palestinese aveva presentato una documentazione dettagliata per ribadire come i crimini di Israele fossero tanto pervasivi da cancellare il diritto a fare sport e a giocare a calcio in Palestina. Un diritto che la Fifa si è prefissata di tutelare in ogni territorio riconosciuto dalla comunità internazionale, ma che sembra non valere per la Palestina. Nonostante gli appelli e le promesse di valutare con attenzione il dossier, dopo un anno, il voto del Consiglio Fifa su questa richiesta è stato rimandato quattro volte e non è prevista una nuova data in cui rimettere la questione all’ordine del giorno. Israele continua a partecipare alle competizioni e, anzi, solo pochi giorni fa il presidente della Federcalcio israeliana Moshe Zuares è stato eletto nel Comitato esecutivo dell’Uefa, l’organo di governo del calcio europeo.
La campagna “Show Israel the red card“, nata dai gruppi ultras negli stadi in solidarietà con il popolo palestinese, cerca da mesi con striscioni e coreografie, con murales e flash mob, di fare pressione sui vertici calcistici mondiali perché decidano di applicare i loro regolamenti ed escludano Israele dalle competizioni ufficiali.
In Italia, la campagna è stata rilanciata dal gruppo di Calcio e Rivoluzione. Ne abbiamo parlato con Gabriele Granato, uno dei volti di questo progetto collettivo.
Come nasce la campagna “Show Israel the red card” e come mai avete deciso di portarla in Italia?
È una campagna che è stata lanciata dalla tifoseria del Celtic Glasgow, dalla Green Brigade, lo scorso 12 febbraio in occasione della partita di Champions League tra il Celtic e il Bayern Monaco. Per l’interesse che noi abbiamo sempre avuto nei confronti della situazione palestinese, ci è venuto spontaneo provare, con tutti i nostri limiti, a coordinare questa campagna internazionale per l’Italia. Fortunatamente ha riscosso un bel successo.
Quante sono state le tifoserie in giro per il mondo che hanno risposto a questo appello?
Il conteggio è sempre in aggiornamento. L’ultimo che avevamo fatto a livello internazionale era più o meno di 150 tifoserie, per un complessivo di 185 azioni in 34 Paesi differenti, in tutti i continenti. È una campagna che ha avuto un respiro mondiale.
In Italia come sta andando?
Siamo a quasi 40 tra società e tifoserie che hanno aderito, alcune anche mediaticamente importanti. La tifoseria dell’Empoli, che gioca in Serie A, la curva nord del Pisa e una parte della curva della Juve Stabia, entrambe squadre di Serie B. La curva est della Ternana e quella della Virtus Verona che giocano in Serie C, più un gruppo di squadre del calcio popolare.
C’è stato anche un insieme di manifestazioni all’interno degli stadi, ci sono dei murales apparsi a Roma, sia dalla sponda giallorossa sia dalla sponda Lazio. Chiaramente tra gruppi che nulla hanno a che vedere né con i valori della destra né con l’antisemitismo.
Le risposte più importanti le avete avute nelle categorie minori, le serie più alte sono quelle in cui è più difficile avere riscontri?
Esatto, non perché le tifoserie organizzate non condividano determinati valori o non riconoscano che il genocidio in Palestina sia qualcosa da denunciare. Ma chiaramente gli stadi di calcio, in particolar modo le curve, vivono di equilibri abbastanza labili: magari in una stessa curva convivono più gruppi organizzati con delle visioni diverse o con delle strategie comunicative diverse legate al tifo per la propria squadra e non sempre si riesce a fare quello che si vorrebbe.
L’appoggio che noi riteniamo essere lecito per la Palestina non deve sfociare mai in sentimenti antisemiti e quindi una serie di realtà erano scartate a priori, mentre ce ne sono state altre che avrebbero voluto aderire ma che hanno riscontrato grossi problemi legati al controllo sociale che si ha all’interno degli stadi.
Ad esempio, nei giorni scorsi, ai ragazzi della curva est di Terni è stata notificata una multa di 160 euro, ufficialmente per uno striscione non autorizzato, ma il riferimento era chiaramente al contenuto dello striscione che era espressione della campagna.
Show Israel the red card è strettamente legata alla richiesta della Federazione palestinese di escludere Israele dalle competizioni internazionali. Questa richiesta è però inascoltata dall’anno scorso, come si può riuscire dal basso a smuovere i piani più alti del calcio mondiale?
Ci rendiamo conto che è una battaglia impari, un Davide contro Golia. Però non ci si deve dare per sconfitti. Questa campagna potrebbe per certi versi sembrare banale, per altri ha un non so che di affascinante. Se mi passate il termine di “rivoluzionario”.
Nel senso che nel mondo del tifo organizzato calcistico non so se ci sia mai stato un movimento così coordinato, compatto, con una parola d’ordine ben precisa. Al punto che, comunque, la Federcalcio israeliana ha fatto delle dichiarazioni per provare a denigrare la campagna. Hanno definito gli striscioni degli “stupidi gesti che non serviranno a cambiare le cose” perché “il mondo in realtà sa come stanno le cose”.
Noi abbiamo invitato tutti quanti, invece, a continuare a mostrare questi “stupidi gesti” perché anche dal piccolo si può partire per fare pressione.