Burkini sì, burkini no. Il dibattito sul divieto o meno del costume da bagno islamico, si è riacceso dopo la decisione del sindaco di Sisco, in Corsica, di vietarlo sulle sue spiagge. La vicenda di Sisco è particolare: il sindaco ha emesso l’ordinanza dopo che sulla spiaggia del paese c’erano stati dei veri e proprio scontri tra giovani locali e un gruppo di famiglie magrebine.
Al di là del singolo fatto, il burkini è diventato un simbolo che, secondo alcuni amministratori locali, è meglio non ostentare perché può provocare problemi di ordine pubblico. Cos’è il burkini? Una specie di costume da bagno, che copre tutto il corpo, ad eccezione del viso, delle mani e dei piedi, ma che permette di nuotare più agevolmente che con i normali vestiti.
L’aspetto è simile a quello di una muta subacquea, e permette così alle donne islamiche di entrare in acqua senza doversi spogliare e mostrare il corpo, come previsto dai dettami della loro religione. Il divieto di indossarlo ha scatenato reazioni contrapposte. Da un lato c’è chi è favorevole al divieto: la destra, che utilizza in maniera strumentale e in chiave antislamica il tema, ma anche chi sostiene che l’utilizzo del burqini non sia voluto dalle donne ma imposto dalla cultura maschilista dell’islam.
Dall’altro lato c’è chi invece, in nome della libertà occidentale, dice che un divieto è sempre negativo. L’editorialista del Guardian Remona Aly ha scritto un articolo dal titolo “Le cinque buone ragioni per mettere il burqini – e non solo per infastidire i francesi”.
“L’imposizione del burkini, così come di altri veli, da parte degli uomini è un fatto isolato, mentre la maggior parte delle donne islamiche sceglie liberamente di utilizzarlo, come rappresentazione della propria identità”, dice Rasmeah Salah, mediatrice culturale italo-egiziana, che ha deciso di indossare il velo islamico dopo essersi laureata.
Qui potete ascoltare l’intervista a Rasmeah Salah