Venerdì 15 dicembre si tiene a Londra presso la chiesa anglicana di St George the Martyr una serata intitolata “An Evening of Voices from Gaza” presentata, in associazione con altri partner, dalla Ong Amos Trust. La lista dei partecipanti comprende i britannici Harry Baker, poeta e artista di spoken word, Disraeli, poeta e rapper, Will Keen e Amaka Okafor, attori, i palestinesi Rosalind Nashashibi, artista, Saied Silbak, compositore e suonatore di ud, e Iyad Sughayer, pianista. Ma il nome che spicca di più è quello di Brian Eno.
La serata con musica e letture, come quelle offerte da Eno, è destinata a raccogliere fondi per l’Emergency Christmas Appeal for Gaza, con cui nel corso di dicembre Amos Trust sollecita donazioni per sostenere i propri partner nella drammatica situazione di Gaza e in quella pesantissima della Cisgiordania. Trovare Brian Eno coinvolto in una iniziativa di questo genere non sorprende. Diventato celebre fin dal principio degli anni settanta come carismatico membro del gruppo rock Roxy Music, Eno ha poi fatto epoca con la sua ambient music, si è affermato come innovativo produttore – basti pensare al suo lavoro con i Talking Heads – e ha ideato sistemi di generazione automatica di musica: da mezzo secolo a questa parte è uno dei più influenti protagonisti della musica e dell’arte dei nostri giorni. Personaggio schivo – anche per questo dopo l’avventura dei Roxy Music la sua attività dal vivo è stata
molto ridotta – Eno non ha però mancato di fare autorevolmente sentire la propria voce su questioni di
politica interna britannica così come internazionale e su grandi problemi del mondo contemporaneo. Note sono le sue preoccupazioni ecologiste: per incoraggiare musicisti e industria musicale a devolvere una parte dei loro profitti alla difesa dell’ambiente, e indirizzare i fondi alle organizzazioni più efficaci nella lotta contro il cambiamento climatico, Eno ha dato vita alla Ong EarthPercent. E note sono le sue convinzioni pacifiste: nel 2006 un suo brillante intervento apriva Not One More Death, un libriccino contenente contributi fra gli altri di figure della statura di Harold Pinter e di John Le Carré. Una raccolta di interventi che, dopo l’aggressione e l’occupazione dell’Irak, metteva in guardia sulle ambizioni imperiali degli Stati Uniti in Medio Oriente. E non nuove sono anche le sue posizioni sulla questione palestinese: tanto per citare, Eno sostiene il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni nei confronti di Israele; firmò, assieme ad altri 1700 artisti britannici, la dichiarazione “Artisti per la Palestina”, di impegno a non intrattenere rapporti con il governo israeliano; negli anni scorsi è stato presente al Palestine Music Expo a Ramallah; e quest’anno è stato tra i primi firmatari della presa di posizione a favore di Roger Waters, l’ex Pink Floyd accusato in Germania di antisemitismo per il suo sostegno alla causa palestinese.
Che Brian Eno spenda il suo nome per la Palestina e, in questo momento, per ricordare il disastro di Gaza, è molto importante: con la serietà, la coerenza e la continuità nel tempo delle sue prese di posizione politiche, Eno è un esempio di musicista con una autorità morale, che – se pensiamo al silenzio su Gaza della nostra scena musicale – non può non fare invidia.
Brian Eno: musica e letture per Gaza
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Autore articolo
Marcello Lorrai