Theresa May ha dato il via ai negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea con una lettera consegnata a mano a Bruxelles al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Da oggi cominciano i due anni di trattative fra Londra e Bruxelles, che vedranno definire alcuni dei punti di maggiore frizione, come:
- i diritti dei cittadini europei nel Regno Unito e dei cittadini britannici sul continente, per esempio l’accesso alla salute e alle pensioni
- la cooperazione sul piano della sicurezza internazionale
- la partecipazione di Londra a istituzioni e programmi europei come per esempio l’Agenzia europea per i medicinali o il programma Erasmus per gli scambi studenteschi
- e ovviamente i trattati che definiranno le relazioni commerciali fra il Regno Unito e l’Unione europea dopo la Brexit.
L’accordo finale dovrà essere approvato da entrambe le Camere del parlamento inglese e da una maggioranza qualificata dei rimanenti 27 Stati membri che rappresenti almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione, oltre che dal parlamento europeo. Se tutto va secondo i programmi, a marzo 2019 il Regno Unito sarà a tutti gli effetti fuori dall’Ue.
Il processo di uscita non è irrevocabile, e potrebbe essere annullato, anche se al momento non sembra probabile. Ma del resto, nessuno si aspettava la Brexit.
La Brexit è certamente la più grande sfida storica che il Regno Unito affronta dalla Seconda guerra mondiale. Winston Churchill, l’allora primo ministro, aveva fortemente spinto per un’unione all’insegna della cooperazione.
La Gran Bretagna ha però mantenuto una posizione fortemente euroscettica – rinunciando al Trattato di Schengen sulla libera circolazione e alla moneta unica. Queste eccezioni però non sono bastate ad arginare l’onda antieuropea e populista del partito conservatore, che ha portato l’ex premier David Cameron a indire nel 2014 un referendum contro le proprie convinzioni, e a perderlo a maggio dell’anno scorso.
Il protocollo per l’uscita di uno Stato membro dall’Unione europea è descritto nel Trattato di Lisbona del 2009. A quel tempo John Kerr, un diplomatico scozzese, lo aveva pensato come un meccanismo di sicurezza nel caso in cui l’Unione europea volesse sospendere il diritto di voto di uno Stato in seguito a un colpo di stato o altra svolta autoritaria. Non aveva mai immaginato che venisse usato per la Brexit, e si dice molto dispiaciuto al riguardo.