Da Salomone a Sansone, per restare in metafora biblica, il passo non è per nulla breve. Ma è quello che Umberto Bossi ha deciso di fare, nei suoi rapporti con la Lega. Facciamo un passo indietro: primo luglio 2012, congresso federale. Roberto Maroni viene incoronato segretario. Dal palco, Umberto Bossi, piangente, cita re Salomone e dice: “piuttosto di veder uccidere mio figlio, lo consegno a un altro”.
Umberto Bossi , congresso federale del 2012
Tre anni e mezzo dopo, Salomone lascia il posto a Sansone: in pratica, se Umberto Bossi deve affondare sotto i colpi dei giudici genovesi, che lo stanno processando, insieme all’ex tesoriere Francesco Belsito, per i rimborsi elettorali truccati della Lega, che insieme a lui muoiano anche tutti i filistei, ovvero i segretari leghisti arrivati dopo di lui. I fatti sono questi: Camera e Senato si sono costituiti parte civile nel processo, e da alcuni documenti presentati si evince che i milioni di euro che la Lega ha truffato allo Stato non sono 40, ma 59 (37 circa per la Camera, 22 per il Senato).
Di più, alcuni di questi sarebbero stati presi e utilizzati anche dopo il periodo bossiano. Nello specifico, 13 milioni circa nel periodo da segretario di Roberto Maroni, poco meno di un milione, 820mila, durante l’attuale segreteria di Salvini. Insomma, Maroni e Salvini (che si è pure costituito parte civile nel processo) pur sapendo che quei soldi erano frutto di una truffa, li avrebbero comunque incassati e spesi. Per il fatto di averli presi, potrebbero essere accusati di concorso in truffa; per l’utilizzo, di ricettazione. Inoltre Umberto Bossi, tramite il suo legale Matteo Brigandì che il 29 ottobre della scorso anno aveva scritto una lettera a Matteo Salvini, chiede che sia la Lega, nello specifico il suo rappresentante legale, a restituire i soldi allo Stato. Al momento di lasciare la guida della Lega le casse padane avevano circa 41 milioni di euro.
Dove sono finiti tutti quei soldi, visto che Maroni e Salvini hanno giurato e spergiurato di non volerli utilizzare, in quanto frutto di una truffa? Di sicuro non sono stati utilizzati per pagare i dipendenti di via Bellerio, visto che sono stati quasi tutti licenziati negli scorsi mesi. Che fine hanno fatto allora? Nessuno dice nulla, nessuno ammette nulla. Ma nei corridoi di via Bellerio c’è chi, a microfono spento, fa notare come la campagna elettorale di Roberto Maroni per la conquista della Lombardia (“La battaglia della vita”, l’avevano definita i leghisti all’epoca) fu sontuosa, con iniziative in tutti gli angoli della regione, in sale mai viste prima in quanto a lusso per il movimento padano, con cene di gala con imprenditori e rappresentanti della società civile, gadget costosissimi (gli occhiali di Maroni, i cartonati del candidato presidente). Una campagna elettorale che portò Maroni alla vittoria, ma che costò molto. “Davvero molto, oltre ogni cifra immaginabile”, dice un uccellino padano, anche se quale sia quella cifra non lo dirà mai pubblicamente.