Mia cara Olympe

Violenza di genere: lo sapevamo tutte, non tutti

Si torna, mentre ancora, dopo giorni, non c’è traccia di Giulia Cecchettin e di Filippo Turetta, – 22 anni entrambi, una relazione che lei aveva concluso e la cui fine lui non aveva accettato, ultime tracce lui che la strattona in un parcheggio e la rimette in macchina a forza – si torna qui a parlare dell’automatismo che ci porta a pensare come epilogo più probabile quello che non vorremmo mai accadesse a nessuna e che accade invece a più di cento donne all’anno, morte ammazzate per mano di chi professava amore.

Se ne torna a parlare dopo averne scritto qui in morte di Giulia Tramontano ed era solo qualche mese fa e dopo aver ascoltato, nelle trasmissioni di Radio Popolare condotte da Lorenza Ghidini prima e Massimo Bacchetta poi, il dibattito e le tante risposte a questa domanda: come mai scatta immediato quel pensiero, come mai, pur sperando evidentemente in una smentita, lo sappiamo tutte ogni volta che accade?

Potrebbe sembrare una domanda ovvia: cos’altro pensare se da dieci anni a questa parte è inalterato il numero dei femminicidi in Italia – più di 100, racconta Action Aid che ha denunciato il taglio dei fondi per la prevenzione della violenza di genere – e dunque è la statistica a indicarci come più probabile l’epilogo violento. Cos’altro pensare se è vero che la questione della violenza di genere è diventato tema mainstream  della politica come dei media e dunque se ne parla e se ne parla – come è un’altra faccenda. Cos’altro pensare se è vero che la tv del dolore ha abituato i palati a nutrirsi letteralmente di lacrime e sangue e questo è anche il paese in cui su Tik Tok intanto impazza Malessere della neomelodica Fabiana che conquista le ragazzine cantando che il ragazzo  che vuole deve essere cattivo e geloso, che s’arrabbia quando lei esce con le amiche e la controlla?

E dunque la statistica, la comunicazione, il discorso  pubblico… tutto – e in modi anche contraddittori –  conduce verso quell’automatismo, quel pensiero. Innegabile, se non fosse per quel femminile plurale – lo sapevamo tutte, non tutti –   che  suggerisce un’altra riflessione. Lo sapevamo tutte, ovvero  tutte donne e in quanto tali legate – volenti o nolenti, consapevoli o meno –  dalla possibilità di essere quella ragazza che va all’appuntamento perché lui è depresso e  dispiace, quella donna che non si rassegna e non scappa in tempo, e quell’altra e quell’altra ancora. Lo sapevamo tutte vuol dire anche che può capitare a tutte  ed è una catena che lega le donne più diverse l’una all’altra e  ciascuna nel proprio intimo, se ci guarda bene,  lo sa. E, per inciso,  credo sia questa una delle ragioni del grande successo del  bel film di Paola Cortellesi ‘C’è ancora domani’, l’aver evocato con la storia della sua Delia quel filo comune che lega la vita delle donne, ieri nel patriarcato violento, ma ancora adesso, qui e ora… L’essere tutte potenziali vittime non deve sembrare un’esagerazione né tantomeno resa o rassegnazione ad un destino immutabile: significa o almeno si spera possa significare sempre di più consapevolezza e capacità di stare alla larga da relazioni tossiche e di costruirne di eque e libere. Ma intanto quel campanello d’allarme è suonato ancora una volta, per un’altra giovanissima Giulia: e quanto riguardi tutte, quanto ci parli di una diseguaglianza feroce e non sanata ciascuna donna lo sa.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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