È difficile capire come sia potuta accadere la figuraccia planetaria dei vertici UE in udienza dal sultano di Ankara. Lo squallido teatrino a cui il mondo ha assistito sarà stato pure orchestrato da Erdogan, ma non sarebbe potuto andare in onda senza l’attiva partecipazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e, spiace dirlo, della stessa presidente della commissione europea Ursula von der Leyen.
Von Der Leyen sostiene di aver comunque “perorato i diritti delle donne”, nei suoi colloqui riservati con il presidente della Turchia. Sarà; ma il mondo l’ha vista abbozzare, mentre l’altro rappresentante dell’Unione neppure faceva mostra di accorgersi di che cosa stava andando in scena grazie alla sua partecipazione. Si potrebbe parlare di un grave danno subito dal concetto di “pluralismo culturale non relativista” (che cioè ritiene alcuni principi fondamentali non negoziabili: come la parità di genere), se non fosse che persino al suo interno l’Unione dimostra di essere disposta a trattare su qualunque cosa. Basti pensare a quanto concesso ai regimi sempre meno “liberali” di Ungheria e Polonia, cioè di due Stati membri, a proposito del “rispetto dello Stato di diritto” come pre-requisito per poter accedere ai fondi di Next Generation Ue.
Ma qui è in gioco qualcosa di politicamente meno ambizioso e, al tempo stesso, più vitale: che cosa l’Unione pensa di essere, oltre a un gigantesco mercato unico. Altro che “grande potenza morale” come i suoi inutili e controproducenti aedi l’hanno voluta cantare alla fine della Guerra fredda. Qui siamo di fronte a un meschino e gretto attorucolo, inconsistente dal punto di vista della capacità di provare a modellare il tempo e lo spazio sulla base dei suoi valori e delle sue aspirazioni ideali. C’è solo una cosa peggiore di essere vili e irrilevanti: saperlo e contemporaneamente fare finta che non sia vero.
Tutto questo mentre oltreoceano, a Washington, abbiamo un settuagenario presidente che propone una radicale riforma del modo in cui capitalismo e innovazione tecnologica sono stati (mal)governati negli ultimi quarant’anni. E mette al centro della sua azione politica la creazione di (buoni) posti di lavoro, il riequilibrio del carico fiscale e lo scandalo di un’elusione fiscale che ha portato i giganti economici e finanziari a non contribuire al sacrificio collettivo per la lotta alla pandemia. Sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale, che esplicita la necessità di una tassazione straordinaria sul reddito e sul patrimonio dei più ricchi per fa ripartire l’economia (altro che la flat tax di Salvini e la contrapposizione tra “statali” e “autonomi” di Meloni). In questo sforzo, il silenzio europeo è assordante, la sua timidezza politica imbarazzante, la sua pochezza culturale vergognosa.
Una vergogna d’Europa
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Vittorio Emanuele Parsi
Insegna Relazioni Internazionali e Studi Strategici all’Università Cattolica a Milano, dove dirige l’ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali – e all’USI di Lugano. Si occupa da molti anni dello studio delle trasformazioni del sistema globale, al crocevia tra politica ed economia e tra ambito domestico e internazionale. Ultimi volumi: Vulnerabili: come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo (2021), The Wrecking of the Liberal World Order (2021).