Breaking Dad

Una roba tipo vecchia

Sabato mattina. Siamo in macchina, sulla strada che da Milano va verso Cusago. Dobbiamo fare una puntatina in un vivaio da quelle parti perché il nostro gelsomino ha dei puntini bianchi sulle foglie e ci serve qualcosa per curarlo. Una rotonda, due, la città si sfoltisce e via via lascia il posto ai campi fitti di frumento. C’è un po’ di sole, teniamo i finestrini abbassati a metà.

-Guarda, papà!

Su un muretto al margine della strada, all’uscita dell’ennesima rotonda, c’è una scritta: NO DDL ZAN.

Fabrizio non si capacita. Perché l’hanno scritto lì? Cosa c’entra? Francesco scuote la testa, con l’aria di uno che la sa lunga.

-L’ha fatta un omofobo?

-Non lo so… direi che è probabile.

Mi vengono in mente le foto della manifestazione di Milano, all’Arco della Pace. Fabri e Franci con la mamma e alcuni amici e amiche. Un arcobaleno disegnato sulle guance paffute e sulla fronte. Una li mostra con il cartello in mano: “VOTATE LA LEGGE ZAN. #TEMPO SCADUTO”. Fabri lo tiene sopra la testa. Dalle mascherine sbucano i loro occhi, seri. Erano molto soddisfatti, quella sera. Me lo hanno raccontato: “abbiamo ballato, c’era tanta gente”. Che gente era? “Non so, normali”.

Francesco, dall’alto dei suoi quasi quattordici anni, si è lanciato: “Secondo me quelli che non vogliono questa legge non hanno capito…”

-Cosa non hanno capito?

-Non hanno capito che noi, cioè quelli della mia età, non ci facciamo neanche più caso se uno è innamorato di un uomo o di una donna o se vuole essere una donna anche se magari è nato uomo. Cioè, per noi è naturale, non ce ne importa proprio… Cioè, è una roba tipo vecchia, tipo San Remo…

Stavo per rispondere, argomentando, che ci sono dei distinguo, delle sfaccettature più complicate, delle distinzioni. Ma mi sono morso la lingua. Non era il momento. Ci sarà il tempo per analizzare, per mettere in dubbio sempre e tutto, per approfondire e uscirne con un’idea ancora più consolidata, oppure cambiarla. Ma non era questo.

Questo era il momento di andare al nocciolo. E il nocciolo di quella giornata, ho pensato, era proprio quello lì. E mi sono sentito molto fiero che i miei due maschiacci, che pensano solo al pallone e al rap, lo avessero “sentito”. In uno stadio che precede la comprensione piena e che ne diventa, però, il fondamento. Per noi, che abbiamo quattordici e dieci anni, la questione non si pone proprio.

Recuperato l’intruglio per il povero gelsomino, ne approfittiamo, prima di rientrare, per dare un’occhiata al Bosco di Cusago. Facciamo quattro passi lungo un canale dalle cui sponde gracidano delle rane. Una papera con i paperetti fila via liscia sull’acqua come su un tapis roulant. Non che ai ragazzi interessi granché: hanno fame. In effetti è mezzogiorno passato.

Torniamo. Ripassiamo dal muretto omofobo. La scritta, adesso, è dall’altra parte della strada. Scaglio un’occhiata. In effetti si vede poco. Ci sono delle erbacce davanti. E, nonostante sia per forza recente, è mezza sbiadita. Tipo vecchia.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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