Ogni tanto è di una buona notizia che si può dire e, in tanta guerra e in tanti guai, ce n’è di molto bisogno.
Quella che arriva dalla Spagna è, per me, una doppia buona notizia: per il contenuto della legge che il governo Sanchez ha approvato – la legge organica per la Protezione dei diritti sessuali e riproduttivi e di garanzia dell’interruzione volontaria di gravidanza, – e per ciò che l’ha mossa e che dovrebbe servire da esempio anche in queste contrade.
La parte della legge che ne fa un provvedimento apripista in tutta Europa e che rimanda ad una nuova generazione di diritti è quella che rimanda alla salute mestruale: un congedo dal lavoro garantito alle donne che soffrono, su certificazione medica, di mestruazioni invalidanti. C’è già, un provvedimento del genere, in alcuni paesi asiatici, in Europa non esiste, in Italia un progetto giace in parlamento. A chi, anche sul fronte del governo, ha avanzato timori su una possibile ancor maggiore discriminazione delle donne in ambito lavorativo, la ministra di Uguaglianza Irene Montero ha risposto affermando che, invece, questa legge va a smontare l’insieme di pregiudizi e stereotipi che fanno delle mestruazioni un tabù.
C’è poi il corposo capitolo che riguarda l’aborto che in Spagna, dopo la prima legge Zapatero, aveva registrato un tentativo di controriforma particolarmente restrittivo portato avanti dai popolari nel 2014: la nuova legge riporta l’interruzione di gravidanza dove finora non era ed è importante che stia, ovvero nell’ambito della sanità pubblica, consentendo il ricorso al privato, nel quale ora si svolge la stragrande maggioranza delle interruzioni di gravidanza, solo in pochi, specifici casi. Inoltre consente alle giovani donne dai 16 ai 18 anni di abortire senza il consenso dei genitori con un percorso di tutela legale simile a quello italiano e dispone che la pillola del giorno dopo venga gratuitamente fornita nei centri di salute sessuale e riproduttiva.
Questa la prima buona notizia: una buona legge che guarda ai diritti sessuali e riproduttivi in maniera complessiva e adeguata ai tempi, non dimenticando l’educazione sessuale che viene istituita in tutte le scuole, anche perché, dice la ministra, si sappia che la contraccezione non è solo affare delle ragazze.
La seconda buona notizia sta nella forza che il movimento femminista spagnolo dimostra ancora una volta e nonostante ci siano divisioni pesanti al proprio interno di cui dà conto qui Ettore Siniscalchi. Una forza che non è soltanto di piazza – e non è poco per chi ricordi quella straordinaria mobilitazione messa in campo in Spagna e in molti altri paesi, Italia inclusa, nel 2014 per contrastare con successo la controriforma sull’aborto – ma è anche di contrattazione sui tavoli della politica. Non per caso, illustrando la legge in una conferenza stampa che va ascoltata soprattutto, Irene Montero ha riconosciuto al movimento delle donne di essere il principale artefice dei grandi avanzamenti femministi a livello istituzionale in Spagna, non per caso ha ricordato il lavoro di tante associazioni e reti che hanno capito per prime che i diritti sessuali e riproduttivi sono la porta fondamentale per la cittadinanza piena delle donne e fanno da termometro della ‘qualità democratica’ di un paese. E non per caso ha definito questa legge un messaggio a a chi, dall’America latina, agli Stati Uniti alla Polonia, sta lottando per ottenere che l’aborto sia libero, sicuro e gratuito o lo sta difendendo da nuovi attacchi.
Non è la prima volta che in Spagna ciò accade e non solo per contrastare un attacco ai diritti delle donne: il movimento femminista era stato protagonista e ispiratore di un’altra legge, quella sulla violenza di genere varata dal governo Zapatero nel 2004, che è stata pioniera in Europa proprio per il suo approccio organico al tema, dalla repressione penale alla tutela delle donne agli aspetti più culturali. Resta ancora oggi, quella legge che abbiamo studiato con una certa invidia, un importante esempio di come un femminismo forte possa essere non solo capace di imporre una propria agenda alla politica, ma anche di sedersi ad un tavolo per trasformare il proprio sapere in provvedimenti di enorme e collettiva importanza.
La legge sui diritti sessuali e riproduttivi licenziata dal governo Sànchez dovrà vivere altri non facili passaggi. Intanto però vedere una (giovane) ministra – anche questo elemento va apprezzato nell’infinito dibattito sulla differenza che le donne sono o no capaci di portare nella politica istituzionale – che ricorda il lungo cammino del femminismo, annunciandone un’altra significativa tappa, non solo fa bene ma dovrebbe servire a pensare anche qui che sì, si può fare.
Un passo indietro: a Milano quel giorno di