Giovedì 27 maggio sul Corriere della Sera è apparso un editoriale a firma di Antonio Polito dal titolo “L’etica (capitalista) smarrita”. Si parlava della tragedia del Mottarone, delle responsabilità e di tutto quanto sta emergendo dalle indagini.
Non riesco a essere d’accordo con Polito. Intanto mi pare ci sia una contraddizione tra l’utilizzo del termine (a mio avviso corretto) “etica” nel titolo e poi invece di “morale” nel testo dell’articolo. Credo che il termine “etica” si possa usare quando si parla di politica, mentre la morale (machiavellicamente parlando) non è categoria della politica.
Ma l’errore maggiore è sul termine “smarrita”. Visto che Polito nel pezzo cita Dante, lo cito anch’io. Nell’incipit più famoso della letteratura mondiale si parla della “diritta” via smarrita e non “persa” perché (almeno così spiega Natalino Sapegno in una delle edizioni meglio commentate della Divina Commedia) il termine persa indicherebbe l’impossibilità di ritrovarla, mentre smarrita implica questa possibilità. Dunque per Polito l’etica (non la morale) capitalista si potrebbe ritrovare. Per avvalorare la sua tesi cita Max Weber. E quindi parla se non dell’inizio del capitalismo, comunque di un periodo lontano da noi.
Ma quanto accaduto al Mottarone è frutto del capitalismo contemporaneo, quello che dagli anni Ottanta del Novecento circa è stato da alcuni definito “turbocapitalismo”. Una nuova forma di capitalismo che ha dimenticato (abbandonato) quell’aspetto paternalistico, in qualche modo sì etico, che vedeva i lavoratori come un qualcosa da preservare (anche solo perché utili ad aumentare il profitto). Certo la maggior parte dei diritti della classe operaia non è stata donata dai padroni, ma conquistata grazie alle lotte operaie, ma in qualche modo questi diritti erano stati introiettati e “fatti propri” (tra mille virgolette) anche dalla classe padronale. Negli ultimi decenni, no.
Il lavoratore (mi perdoni Marx per questa eresia) è considerato esso stesso mezzo di produzione. Ma negli ultimi decenni l’atteggiamento nei confronti delle cose è cambiato. Una volta gli oggetti si tenevano bene, perché dovevano durare a lungo. Si manutenevano, per allungarne la vita. C’era l’arrotino, che affilava i coltelli; l’ombrellaio, che riparava gli ombrelli. Ora i coltelli se spuntati si buttano e si comprano nuovi, così come gli ombrelli. Si sfruttano fino alla fine, senza bisogno della manutenzione. Una volta esaurito il proprio compito, lo si butta e sostituisce. La stessa cosa vale per i lavoratori. Si sfruttano fino alla fine, poi li si butta e sostituisce. Vale per i contratti a termine così come per la scarsa attenzione alla loro “manutenzione”. Non serve più.
Così ragiona il capitalismo moderno. Quindi l’etica capitalista non è smarrita, ma perduta. Quella smarrita è l’etica politica al massimo. Ed è la politica che la dovrebbe recuperare. Ma in tempi in cui si urla che bisogna riaprire a tutti i costi, che non ci si può permettere di perdere altri soldi e cose simili, forse anche l’etica politica non è solo smarrita, ma persa.