Le cronache dell’ultima settimana inducono a una certa e purtroppo consueta dose di rabbia e avvilimento.
Come giudicare l’ennesima vicenda di sessismo, l’ennesima sedia sottratta a una donna in quanto donna, l’ennesimo ‘Tu non puoi stare qui’, stavolta toccato, ad un evento della Nazionale Cantanti, alla componente di The Jackal Aurora Leone (ha un cognome, lo sappiano gli autori degli articoli che continuano a chiamare le donne per nome come se fossero tutte loro cugine). Ciò che è accaduto, avvilente appunto e con l’altrettanto scontato contorno di scuse e assicurazioni di essere campioni di inclusione lo trovate qui .
Poi il già noto a questi uffici senatore leghista Simone Pillon (per i pochi che non hanno seguito, qui il riassunto ragionato della sua parabola politica che definire oscurantista è vera cortesia) si è messo a spiegarci che è ‘naturale’ che le donne preferiscano l’accudimento alla costruzione di ponti. E che dunque malissimo fa l’Università di Bari a spingere le ragazze verso carriere Stem, con uno sconto sulla retta di iscrizione ai corsi di laurea scientifici. Quella che è una concreta misura nella direzione consigliata da tutti gli organismi internazionali che si occupano di lavoro femminile, che è vieppiù benvenuta in un Sud Cenerentola d’Europa in quanto a donne al lavoro (32,2%, la media europea è il doppio) e che è rafforzata dall’aver deciso l’ateneo la totale gratuità per le studentesse madri, è diventata nelle parole di Pillon ‘un modo di fare ideologico, finalizzato a manipolare le persone e la società” da parte di ‘ cultori del gender’. E due.
E vogliamo poi aggiungere lo sgomento che viene dall’ultimo caso di stupratore seriale sotto sembianze di manager e metterci nei panni di una ventunenne che spera in uno stage e si sveglia confusa a casa sua, realizzando di essere stata violentata dopo aver bevuto un’aranciata, storia che arriva dopo la lettura dell’ultima puntata del caso di Ciro Grillo e dei suoi amici, le incommentabili chat con promesse di ‘testimonianze’ video. 3 versus 1, si vantavano.
Invece qui si vuole volgere lo sguardo all’acqua. (Piccola confessione: sono stata, per un paio d’anni, tesserata della Polisportiva Garibaldi della mia città natale: ho dovuto mollare presto e con dispiacere la mia peraltro non esaltante carriera di nuotatrice, specialità dorso e stile libero, ma mi è rimasto un discreto stile e la grande gioia nell’entrare in acqua, sia essa mare o piscina). Non mi stanco perciò di guardare le nostre formidabili, giovanissime nuotatrici che vanno come treni e a Budapest fanno il pieno di medaglie: Benedetta Pilato è una ranista, ha 16 anni, sull’acqua vola, ed è tornata a Taranto con un record mondiale in tasca. Mentre sono contenta di vedere la forza delle giovani donne dell’acqua la rete mi regala un’altra immagine: le donne di Zanzibar che, con i loro lunghi vestiti e tenendo una tanica di plastica, galleggiano sulle onde. Sono donne cui cultura e tradizioni locali hanno sempre impedito di imparare a nuotare – massimo scacco se si vive su un’isola – e che da qualche anno un progetto si incarica di ‘mettere in acqua’, dando loro strumenti per prevenire annegamenti purtroppo frequenti. ‘Finding Freedom in the Water’ è il meraviglioso lavoro fotografico di Anne Boyiazis che racconta l’altrettanto meravigliosa realizzazione di questa idea. Non perdetelo, solleva l’anima.