Palazzeide

Salvini e il gioco della Liberazione

Matteo Salvini, si sa, non ha mai avuto un buon rapporto con il 25 aprile.
Il capo della Lega si ostina a chiamare il giorno della Liberazione dal nazifascismo il “giorno della Libertà”, termine neutrale, antistorico, non ha connotazioni politiche e va bene su tutto.
Infatti il 25 aprile si fa sempre trovare un po’ lontano da Milano, ad esempio qualche anno fa era a Corleone, a dire che quel giorno preferiva festeggiare la liberazione dalla mafia.
Eppure ieri in tutti i messaggi social, nei quali si capiva che non vedeva l’ora di intestarsi la vittoria delle riaperture, poi qualcuno deve avergli detto di non strafare, infatti poi ha aggiunto “non è una vittoria mia ma del buon senso”, ecco in quei messaggi social ha abbondato nelle espressioni “un aprile di liberazione”.
Sapendo bene che il 26 viene dopo il 25, Salvini gioca con la liberazione, che per lui è quella dei commercianti, ristoratori, e tutti i suoi possibili futuri elettori a cominciare già dalle elezioni di ottobre.
La liberazione, quella che poi ha portato alla democrazia per lui è in secondo piano, l’ha sempre sfuggita, non è mai stata fondamentale, anche perché ha sempre un po’ strizzato l’occhio a chi va a Predappio in corteo a rendere omaggio al ventennio fascista.
Se il 26 aprile viene dopo un giorno a me molto caro, l’anno scorso le riaperture di negozi, bar e ristoranti sono arrivate il giorno del mio compleanno, il 18 maggio. A parte questa coincidenza, ciò che mi colpisce è la similitudine di parole, dichiarazioni, rassicurazioni, raccomandazioni, promesse di un’uscita a breve dalla pandemia e del ritorno alla vita normale.
Sono andata a rivedermi le dichiarazioni di allora, le parole sono spesso uguali.
Eppure ad ottobre siamo finiti di nuovo nel tunnel.
E allora penso che il rischio ragionato, che segna la svolta di questo 26 aprile, debba accompagnarsi anche ad un altro sostantivo, “corsa”, la corsa, ma fortissima, della campagna vaccinale, che deve andare più forte delle riaperture, deve staccare in velocità ristoratori, commercianti, tutti noi che comprensibilmente vorremmo tornare al cinema o in piscina, e correre veloce verso la meta, perché è l’unica cosa che segna la differenza tra oggi e ieri.
L’anno scorso i vaccini non c’erano, quest’anno sì. E per avere la certezza che ad ottobre non ci ritroveremo di nuovo a casa, i vaccini devono arrivare in estate a mettere al sicuro i più deboli, e poi tutti noi.
Il rischio ragionato è anche il rischio che deve essere sempre minore, sempre meno presente di finire contagiati e in ospedale.

  • Anna Bredice

    A Roma con il cuore, una figlia e la testa, a due passi dai tetti belli di Garbatella e dal Gazometro di Ostiense, atmosfere tra Ozpetek e il caffè sospeso di Casetta Rossa. A Milano con gli affetti, la famiglia e la radio della vita. Seguo la politica per Radio Popolare da tanti anni, con impegno, partecipazione, a volte rabbia e passione.

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    La transizione s’ha da fare, ma verso il militare. Di fronte al piano di riarmo europeo da 800 miliardi voluto dalla Presidente della Commissione Ue Von der Leyen, la transizione ecologica per la decarbonizzazione dell’economia slitta in secondo piano. Questo vale soprattutto per l’automotive: la conclamata crisi del settore – frutto della miopia dei produttori auto e delle scelte non incisive né coerenti della politica – è diventata ora l’occasione non per accelerare sull’elettrificazione dei trasporti, ma per promuovere la riconversione produttiva verso l’industria della difesa e delle armi. Il nono episodio del podcast “A qualcuno piace verde”, il Podcast di alleanza Clima Lavoro a cura di Massimo Alberti, racconta – a partire dal convegno “Mobilità sostenibile al lavoro” che si è tenuto a Torino il 13-14 marzo 2025 – il passaggio in Europa e in Italia dal Green Deal al War Deal. Con l’automotive, appunto, come snodo centrale.

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