RIASSUNTO DELLA PRIMA PARTE: siamo a Napoli. La città ci ha rapito con i suoi colori, i suoni, i sapori. Ce la giriamo in lungo e in largo, con Fabri e Franci che si guardano attorno, scattano fotografie e contano gli innumerevoli motorini che sfrecciano tra i vicoli.
GIORNO 3
“Siete andati a vedere Maradona?”, ci chiede la signora della bancarella delle magliette. Dice proprio così: non “il murales” o, al limite, “il disegno”. Nossignore e sapete perché? Perché lì, in fondo a quella strada, girato l’angolo di un vicolo a gradoni, poi subito a destra e avanti ancora un po’, non c’è una raffigurazione: c’è proprio Lui. Come se fosse un Santo, in immagine terrena che per miracolo si fa Presenza. Mica un muro pittato.
La visita a Maradona è stata fin da subito nei nostri piani e oggi è il giorno. Ci arriviamo, con un po’ di emozione, dal nostro appartamento nei Quartieri Spagnoli. A mano a mano che ci avviciniamo notiamo persone che camminano nella nostra direzione e altre che tornano indietro. Un via vai che assomiglia a un pellegrinaggio. E alla fine, eccolo. Fabrizio sgrana gli occhi, Franceso ride. Non è tanto il disegno, enorme, sulla facciata di un condominio, a lasciarci stupefatti. E’ tutto quello che c’è attorno: il cortile circondato da un muricciolo è, evidentemente, una specie di tempio. Con relativi mercanti, naturalmente.
Ci sono bandierine di ogni paese del mondo appese a mezz’aria, fotografie, poster e quadri a tema appesi ai muri, altri murales più piccoli, ci sono statuine da presepe e cartonati di Maradona a grandezza naturale. Ci sono bigliettini con disegni di bambini incollati ai lampioni, foto ricordo che assomigliano tanto a degli ex voto. Non si capisce cosa sia in vendita e cosa no, cosa sia commercio e cosa devozione, cosa attrazione turistica e cosa autentico sentimento popolare. Ma forse è tutto insieme, è tutto mischiato. Certamente, a noi tre resta negli occhi e Fabri lo racconta, la sera, ai suoi amici al telefono: “Oh, siamo andati da Maradona…”
La sera lo raccontiamo a Patrizio. E’ lui, un ragazzino di 15 anni, a venire al nostro tavolo, nella pizzeria su piazza della Carità. Non è la prima pizza che ci mangiamo qui a Napoli. Ma ogni volta è una soddisfazione. Cerchiamo anche di capire cosa ci sia di diverso dalle pizze che mangiamo a Milano: ne parliamo tra noi, poi lo chiediamo a Patrizio che la fa facile: “Lo sai che c’è? C’è che qua stiamo a Napoli”. Patrizio non va più a scuola. Lavora: di giorno in un hamburgheria nel rione Sanità. “Ci siamo passati!”, dice Franci che se la ricorda, nella piazza proprio sotto al murale che raffigura sei volti di bambini del quartiere. La sera, invece, lavora qua, in pizzeria. Fabri chiede ancora: ma come, non vai a scuola? Risposta: no. Ok, si passa oltre, al Napoli e al suo nuovo fenomeno che non si sa bene come si pronuncia. Più tardi, Patrizio – finito di prendere le ordinazioni e di portare le pizze ai tavoli – viene a sedersi un po’ con noi e chiacchieriamo del suo lavoro. Gli raccontiamo che siamo andati a vedere la “Napoli sotterranea”, ma lui ci dice che non l’ha mai vista, anzi, non sapeva nemmeno che ci fosse. “Eh, infatti – risponde Fabri – è sotterranea…”.
GIORNO 4
E venne il giorno di Pompei. Atteso e anche un po’ temuto. Perché a Pompei bisogna arrivarci. La nostra visita guidata comincia alle 10, dunque tocca organizzarci per tempo. La sveglia è puntuale e la preparazione spedita. Cominciamo a diventare proprio bravi, penso con soddisfazione, i miei ragazzi e io. La Metro, poi la Circumvesuviana. Tutto puntuale, arriviamo con un certo anticipo. Durante il viaggio rievochiamo l’eruzione del Vesuvio e ci facciamo un po’ di film su come deve essere stato, su quello che avremmo fatto per scappare e Fabri un po’ si preoccupa che – vuoi mai la sfiga – il vulcano si riattivi proprio oggi.
Troviamo il nostro gruppetto, che si è radunato attorno alla guida, una signora napoletana che scopriremo poi essere eccezionalmente brava, coinvolgente, appassionata. E la visita comincia. Siamo un po’emozionati e il caldo si fa sentire. Abbiamo negli zaini due bottiglie di ghiaccio. Sì, di acqua lasciata in freezer in modo da farla ghiacciare completamente: così si scioglierà pian piano e noi avremo acqua fredda per tutto il giorno. Fabri è particolarmente fiero della trovata.
Pompei non si può descrivere. O meglio, non si può descrivere tanto facilmente quello che si prova a camminare in una città di duemila anni fa, praticamente integra. Siamo a bocca aperta, camminiamo con gli occhi sgranati. E, terminata la visita guidata, continuiamo a passeggiare ancora per un paio d’ore abbondanti tra le vie lastricate, le botteghe, le piazze antiche.
Il resto della giornata, tornati a Napoli, se ne va tra una piccola passeggiata per i “nostri “ Quartieri Spagnoli e una cosa che ci diverte molto. La lavatrice. Sì, perché realizzo che ne siamo dotati e decidiamo di fare l’esperienza definitiva del cliché napoletano: stendere il bucato nei fili appesi al balcone. I nostri calzini, le nostre mutande, le magliette ora sventolano nel vicolo: ci sentiamo veramente a casa e facciamo gli stupidi parlando tra noi un napoletano maccheronico tutto “Uè, ‘uagliò, maronn’”.
La sera torniamo a mangiare la pizza da Patrizio, che ci dice che manco a Pompei è mai andato e allora gliela raccontiamo.
GIORNO 5
E’ il nostro ultimo giorno a Napoli. Ci svegliamo un po’ stanchi dopo la giornata a Pompei. Abbiamo un ultimo appuntamento in programma: la visita alla Cappella San Severo dove si trova il Cristo Velato. Non è che sia proprio accattivante per i ragazzi, e soprattutto per Fabri, me ne rendo conto. Ma ci tenevo molto. E le aspettative non sono deluse. La meraviglia di quello scrigno barocco e di quella incredibile scultura! Alla fine anche i ragazzi ne sono colpiti.
All’uscita mi si avvicina una signora. Mi mette in mano un pugnetto di sale grosso. E mi fa: gettalo, gettalo dietro le spalle! Io, piuttosto in imbarazzo, eseguo, mentre lei pronuncia una formula scaccia-malocchio che io devo ripetere. I ragazzi stanno tre passi indietro, non capisco se siano divertiti o preoccupati. Io lancio loro un’occhiata rassicurante. Tipo: tranquilli, so perfettamente cosa succede ora. In realtà non lo so affatto! La signora mi dice bravo. Poi mi mette in mano un biglietto con dei numeri assicurandomi che sono vincenti al Lotto. Poi il biglietto va strappato e gettato via anche quello. Infine, mi rifila un pendaglio con dei cornetti rossi di plastica e mi dice: “Signore, me li dà 2 euro?” Eccola là, penso io. Ma poi aggiunge: “Signore, io ho 72 anni, non ho mai fatto male a nessuno, questa qua è la mia vita”. Io quasi mi commuovo e le do cinque euro. Mi resta il dubbio di essermi fatto fregare. Anzi, è proprio così, mi dicono i ragazzi, per una volta assolutamente concordi: papà, ti ha fregato.
La giornata se ne va tra un babà, una pizza fritta (ma è meglio quella normale, concordiamo tutti e tre) e una passeggiata tra Spaccanapoli e San Gregorio Armeno.
Ma poi, alla fine, l’ultima sorpresa. Castel Sant’Elmo, che raggiungiamo con la funicolare canticchiando, ovviamente, “funiculì, funiculà”. Lo spettacolo di Napoli da lassù è commovente. Se devo pensare a un esempio di Bellezza, bè questo rende perfettamente il concetto. Anche i ragazzi sono incantati e guardate che non è affatto scontato che un quindicenne e un undicenne restino ammaliati da un panorama. Ma questo non è un semplice panorama. Questo è uno squarcio di cielo, di mare, di vita che si indovina brulicare tra le vie che si intrecciano là sotto. Il ritorno lo facciamo a piedi, scendendo tra le case che si arrampicano sulla collina.
EPILOGO
“Allora, ragazzi, vi siete divertiti, vi è piaciuta Napoli?” Il nostro treno per Milano è in ritardo, arriveremo all’ora di cena. Siamo un po’ stanchi, adesso, e non vediamo l’ora di arrivare. Siamo anche molto orgogliosi della nostra avventura lo sono davvero anche i ragazzi. “Papà….”, “Dimmi, Fabri”. “Però domani si cazzeggia, vero?”