In questi giorni Radio Popolare ha seguito con attenzione la vicenda degli arresti francesi.
Lo abbiamo fatto ascoltando diverse voci, da Guido Viale a Benedetta Tobagi. Lo abbiamo fatto, naturalmente, anche aprendo i microfoni alle diverse opinioni delle ascoltatrici e degli ascoltatori.
Lo abbiamo fatto usando qualche volta anche noi quell’espressione, “anni di piombo“, che nasce dal titolo di un film del 1981.
Il film era bello, intelligente, profondo.
Non altrettanto intelligente e profondo è stato il percorso dell’espressione che ha generato, “anni di piombo” appunto.
Che è diventato un modo per rinchiudere tutto ciò che è avvenuto in quel decennio all’interno della questione terroristica.
Un decennio in cui invece c’era molto altro e molto di più.
Un decennio in cui era in corso (anche) in Italia un cambiamento progressista ed egualitario.
Un cambiamento che ha portato anche a importanti riforme: dalle 150 ore per il diritto allo studio all’obiezione di coscienza al militare, dal nuovo diritto di famiglia alla creazione del servizio sanitario nazionale, fino alla legge Basaglia per la chiusura dei manicomi, per non dire dei grandi avanzamenti nei contratti dei metalmeccanici e non solo.
Tutto questo non era “anni di piombo”, ovviamente. Tutto questo era il risultato di processi profondi che sono stati fermati, anzi rovesciati, a partire dagli anni 80, quando si è imposta l’egemonia culturale e politica della destra economica.
In queste ore in Italia, sui media e in politica, vediamo la riduzione di quei grandi movimenti storici a soli “anni di piombo”.
Il che non è solo semplificazione giornalistica, è anche cancellazione di un epoca in cui le disuguaglianze diminuivano, anziché crescere come avvenuto dopo.
E forse questa cancellazione vuole sono nascondere il tramonto ormai in corso dei decenni successivi, quelli dell’avidità, del profitto, della forbice sociale allargata all’infinito.