Non so voi, ma io non ho ancora capito quanta paura bisogna avere di Meloni e soci, mentre, implacabili, i sondaggi continuano a dirci di un distacco che non appare facilmente colmabile.
Mi spiego meglio: del significato di un eventuale premierato Meloni – argomento che suscita giustamente un grande dibattito tra donne e femministe, essendo una prima volta nel nostro paese – ho già scritto qui. In breve, se non nego il segno di maggiore equità che questa eventualità porta con sé in un paese in cui non fa e non ha mai fatto scandalo la sottorappresentazione femminile in politica, giudico la parte di agenda che più riguarda le donne non soltanto deficitaria, ma culturalmente e praticamente pericolosa, a riprova che non è mai bastato e tantomeno basta adesso essere ‘una donna’ per significare una differenza, in termini di sguardo, di politiche, di riduzioni dei tanti gap che contraddistinguono la situazione italiana.
Poi c’è il ‘resto’. Ci sono le politiche economiche e quella sciagurata flat tax che, per esempio, significherà con ogni probabilità tagli alla sanità pubblica con conseguente campo largo per quella privata; la ripresa del progetto delle autonomie differenziate che penalizzerà ulteriormente il sud; c’è il tema della scuola declinato su una meritocrazia che non ne risolverà gli indubbi problemi. E si potrebbe andare avanti, mettendo ai primi posti la questione delle migrazioni e delle politiche relative, i ventilati blocchi navali: un’idea di Italia escludente, di un ‘prima gli italiani’ che non guarda correttamente né all’ineludibilità e alle caratteristiche del fenomeno migratorio né alla crisi demografica. E c’è il tema dei diritti civili e del modello di società che il centrodestra propaganda, un’idea retriva, difensiva che si appella ad una ‘tradizione’ che sa di stantio. (Ci si potrebbe chiedere allora come mai questo livello di consenso: una risposta sta nella paura di ceti svantaggiati o già impoveriti, un’altra negli interessi da tutelare, un’altra ancora nella ‘novità’ della proposta che però lascia intravedere una radice politica esistente e resistente in Italia). Per contro ci sono sfide enormi da affrontare, alcune delle quali, come l’utilizzo corretto degli ingenti fondi del Pnrr, sono veramente l’ultima spiaggia per disegnare un paese più equo, moderno e green.
Il ‘resto’ dunque appare pesante e motiva un enorme timore, non ultimo per quanto riguarda chi e con quali competenze dovrà gestire i fronti di cui sopra, guerra e covid inclusi: in tanti però dicono, ed è un argomento non peregrino, che un conto è la propaganda elettorale, altro è governare e che sarà la situazione internazionale e la spada di Damocle della reazione dei mercati a consigliare cautela e ragionevolezza. Qualcuno si spinge a dire che c’è da augurarselo, visto che la posta in gioco è altissima e che, se non dovessimo rispettare il programma, rischiamo di perdere le prossime tranches di finanziamenti europei.
C’è però un ultimo punto che esula sia dalla questione del programma e delle competenze, sia da ogni possibile cautela il centrodestra possa mettere in campo per garantirsi una navigazione non troppa burrascosa: un premierato Meloni segnerebbe l’archiviazione della matrice antifascista sulla quale è nata la repubblica e si fonda la nostra costituzione. Non esattamente un dettaglio e neanche un punto di mero principio per chi interpreta l’antifascismo come una categoria di sintesi che guarda e legge la storia per tenere la barra dritta sul futuro. E qui sì che mi sembra che di paura c’è da avercene: come ben sappiamo, una radice di destra reazionaria, parafascista nell’Italia del 2022 continua a vivere e non potrà che prosperare.