Mia cara Olympe

Quanta paura dobbiamo avere di Giorgia Meloni?

Non so voi, ma io non ho ancora capito quanta paura bisogna avere di Meloni e soci, mentre, implacabili, i sondaggi continuano a dirci di un distacco che non appare facilmente colmabile.

Mi spiego meglio: del significato di un eventuale premierato Meloni – argomento che suscita giustamente un grande dibattito tra donne e femministe, essendo una prima volta nel nostro paese – ho già scritto qui. In breve, se non nego il segno di maggiore equità che questa eventualità porta con sé in un paese in cui non fa e non ha mai fatto scandalo la sottorappresentazione femminile in politica, giudico la parte di agenda che più riguarda le donne non soltanto deficitaria, ma culturalmente e praticamente pericolosa, a riprova che non è mai bastato e tantomeno basta adesso essere ‘una donna’ per significare una differenza, in termini di sguardo, di politiche, di riduzioni dei tanti gap che contraddistinguono la situazione italiana.

Poi c’è il ‘resto’. Ci sono le politiche economiche e quella sciagurata flat tax che, per esempio, significherà con ogni probabilità tagli alla sanità pubblica con conseguente campo largo per quella privata; la ripresa del progetto delle autonomie differenziate che penalizzerà ulteriormente il sud; c’è il tema della scuola declinato su una meritocrazia che non ne risolverà gli indubbi problemi. E si potrebbe andare avanti, mettendo ai primi posti la questione delle migrazioni e delle politiche relative, i ventilati blocchi navali: un’idea di Italia escludente, di un ‘prima gli italiani’ che non guarda correttamente né all’ineludibilità e alle caratteristiche del fenomeno migratorio né alla crisi demografica. E c’è il tema dei diritti civili e del modello di società che il centrodestra propaganda, un’idea retriva, difensiva che si appella ad una ‘tradizione’ che sa di stantio. (Ci si potrebbe chiedere allora come mai questo livello di consenso: una risposta sta nella paura di ceti svantaggiati o già impoveriti, un’altra negli interessi da tutelare, un’altra ancora nella ‘novità’ della proposta che però lascia intravedere una radice politica esistente e resistente in Italia). Per contro ci sono sfide enormi da affrontare, alcune delle quali, come l’utilizzo corretto degli ingenti fondi del Pnrr, sono veramente l’ultima spiaggia per disegnare un paese più equo, moderno e green.

Il ‘resto’ dunque appare pesante e motiva un enorme timore, non ultimo per quanto riguarda chi e con quali competenze dovrà gestire i fronti di cui sopra, guerra e covid inclusi: in tanti però dicono, ed è un argomento non peregrino, che un conto è la propaganda elettorale, altro è governare e che sarà la situazione internazionale e la spada  di Damocle della reazione dei mercati a consigliare cautela e ragionevolezza. Qualcuno si spinge a dire che c’è da augurarselo, visto che la posta in gioco è altissima e che, se non dovessimo rispettare il programma, rischiamo di perdere le prossime tranches di finanziamenti europei.

C’è però un ultimo punto che esula sia dalla questione del programma e delle competenze, sia da ogni possibile cautela il centrodestra possa mettere in campo per garantirsi una navigazione non troppa burrascosa: un premierato Meloni segnerebbe l’archiviazione della matrice antifascista sulla quale è nata la repubblica e si fonda la nostra costituzione. Non esattamente un dettaglio e neanche un punto di mero principio per chi interpreta l’antifascismo come una categoria di sintesi che guarda e legge la storia per tenere la barra dritta sul futuro. E qui sì che mi sembra che di paura c’è da avercene:  come ben sappiamo, una radice di destra reazionaria, parafascista nell’Italia del 2022 continua a vivere e non potrà che prosperare.

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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    C'è Di Buono: Max Casacci racconta Eartphonia III: Through the grapevine

    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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