“Partecipazione attiva, modelli e innovazione dei percorsi didattici”: questo il titolo del convegno svoltosi il 7 ottobre al Teatro Munari di Milano, promosso da TAC (no, non l’intercalare del “Milanese Imbruttito”, ma l’acronimo dell’Associazione “Teatro Attiva Cultura”), dall’Istituto “Rinnovata Pizzigoni” di Milano e dal Teatro del Buratto. Tema: il Teatro Scuola (o Teatro-Ragazzi, che dir si voglia) e tutto ciò che gravita intorno a esso.
Poteva non andarci, il vostro affezionatissimo? No. E allora, ecco una specie di riassunto, perchè tanti e importanti erano i partecipanti, variegati e significativi gli interventi.
A cominciar dal video di saluto di un’alunna, una sorta di (così è stata simpaticamente ribattezzata) “Greta Thumberg della Cultura Teatrale”, in cui la fanciulla testimonia del suo vivo e sincero amore per il Teatro, affermando che ci va “più volte a settimana, ma che ci vorrebbe un sostegno economico per rendere gratuiti i biglietti per i giovani”. È una alunna della “Rinnovata Pizzigoni”, un Istituto che, sin dalla sua fondazione nel 1911, e in continuità con l’approccio pedagogico della fondatrice Giuseppina Pizzigoni, ha in effetti eletto il Teatro come strumento principale per realizzare l’inclusione sociale e didattica, per promuovere abilità e competenze, per accogliere disabilità varie e per sperimentare le più diverse pratiche di convivenza. Per incarnare davvero il senso di “cura” che dovrebbe amalgamare qualunque comunità: “Qui i docenti recitano insieme agli alunni: così facendo realizziamo davvero l’ I CARE di Don Milani”, ricorda la Dirigente Scolastica, Anna Teresa Ferri.
“E non c’è teatro senza cura”, ribadisce Laura Galimberti, in quei giorni ancora Assessora alla Cultura e Istruzione del Comune di Milano, anche se Renata Coluccini, regista del Teatro del Buratto, subito dopo specifica che “se il Teatro è cura, giammai però dovrà essere medicina” (a tal proposito qualcuno ricorda che in Inghilterra si possono somministrare attività culturali, tipo spettacoli o concerti, come fossero medicine, quindi gratuite per il paziente: “Allora, per la sua ulcera, mi mangi leggero e prenda un Feydeau, due volte a settimana. Mentre, per la bassa pressione di suo marito, prescrivo uno Shakespeare a tinte forti, magari Macbeth o Riccardo III. Le preparo la ricetta per i biglietti”). Sempre Renata Coluccini ricorda che il Teatro scuola ha di fronte, più di altri generi teatrali, il rischio di scadere in fenomeno di consumo. E, riguardo alla gratuità dei biglietti invocata dalla ragazza nel video, tralasciando il giusto riconoscimento anche economico che si dovrebbe alla preparazione professionale del teatrante, fa notare come varie ricerche in tutta Europa hanno confermato che la gratuità degli eventi culturali non fa aumentare il numero di spettatori…
Mario Ferrari, Direttore di Pandemonium Teatro di Bergamo, denuncia come l’innovazione a scuola è sempre e soltanto “tecnologica”, e che il Teatro-Ragazzi “è un “teatro povero”, ma non per scelta: più che altro, il Teatro-Ragazzi è invisibile perché si fa quando gli altri lavorano”.
E proprio per renderlo visibile, chi meglio di Mario Bianchi, direttore di Eolo, per raccontare allora che il suo testo è stato il primo “Atlante del Teatro Ragazzi in Italia” (con un recente aggiornamento per gli anni dal 2009 al 2021) e, soprattutto, per mettere in guardia dal considerare questo genere teatrale come quello che avrebbe esclusivamente il compito di preparare il “pubblico di domani? “Sparo a chi la pensa così!” ammonisce scherzosamente: cosa buona sarebbe invece accostarsi a questo particolare pubblico, alla Rousseau, nella sua accezione autonoma di “pubblico di oggi”, da rispettare in rapporto all’età attuale dei ragazzi.
Salvatore Guadagnolo, operatore teatrale di Agita, sottolinea come, da un bando del Ministero finalizzato a erogare fondi collegati all’articolo 12 della legge “Buona Scuola”, emerga come “almeno metà delle scuole in Italia fanno Teatro”. Non l’avrei mai detto!
Segue la referente della rassegna “Teatro della Scuola” di Fiumicello (UD), Michela Vanni, che riporta la sua esperienza nell’organizzazione di questo evento, uno dei numerosi Festival teatrali – ma il suo il primo – in cui a recitare sono gli alunni: “Il teatro ragazzi dipende da una sola cosa: i pulmini” (si riferisce al fatto che alcuni Dirigenti Scolastici le chiedono spesso come poter estendere la copertura assicurativa nell’unico tratto che per i bambini resterebbe scoperto, cioè il tragitto tra pullman e teatro!), auspica che il teatro entri nel curriculo (“senza però diventare una materia!”), e raccomanda che il teatrante a scuola non sia mai lasciato da solo a lavorare, ma che progetti un percorso specifico per ogni classe insieme all’insegnante. E soprattutto: “Chi ha detto che deve essere sempre e solo il Docente di Lettere? Dovrebbe essere qualcosa in carico a tutto il corpo docente” (anche perché poi, se tortura deve essere, tanto vale ripartirla!).
A sottolineare quanto sia importante preparare la classe prima di uno spettacolo e fornirle gli strumenti di una “didattica della visione”, per evitare di “deportare gli alunni a teatro”, è Claudia Pastorini, educatrice; che chiude con un folgorante quanto significativo calembour sugli spettacoli realizzati a scuola con gli alunni in scena: “Occorre far entrare il Teatro a scuola per poi far uscire il Teatro-Scuola dalla Scuola”.
Poi, nel pomeriggio, Giulio Nava, psicoterapeuta, formatore teatrale e fondatore del Teatro degli Affetti, racconta quella che è una sorta di sua personalissima e trentennale “ricerca impossibile”, indirizzata cioè a elaborare uno strumento per rispondere alla richiesta, prettamente scolastica, di valutazione/valorizzazione dei ragazzi durante il laboratorio teatrale. Qui siamo oltre la mera questione di quanto sia lecito “mettere il voto in Teatro”: è proprio che se il voto è giocoforza “un giudizio”, e il laboratorio teatrale è il luogo dove per definizione qualunque giudizio “resta fuori”, diventa epistemologicamente complesso far convivere queste due istanze. Ma forse, per lo stesso motivo, interessante: lo psicoterapeuta allora propone le sue configurazioni valutative (una tabella con 8 indicatori e 4 variabili), tutti dipendenti da vari parametri, tra cui il più significativo è quello relativo alla realizzazione o meno, a fine percorso, di uno spettacolo. Il quale non deve essere mai, ribadisce con forza, qualcosa di “forzato e obbligatorio” (anzi Nava addirittura propone di adottare norme per far sì che tutti i formatori teatrali possano rifiutarsi di accettare contratti dalle scuole che richiedono tassativamente, alla fine del laboratorio, la realizzazione di uno spettacolo, che è buono solo per “le foto dei genitori”). E che, comunque, è un tipo di valutazione che non può che integrare quella del docente con l’autovalutazione dell’alunno.
Chiude l’esperto di teatro e psicologo Giorgio Testa, con una frase di Aristippo di Cirene, il quale aveva individuato, con una definizione icastica, l’ideale massimo di cittadino, l’esempio di somma virtù che avrebbe voluto incarnasse suo figlio: “Sii un uomo che, quando si siede a teatro, non diventa pietra su pietra”. Appunto, non spettatore inerte: ma testimone attivo di quanto accade in scena.
E io, che assistevo dal pubblico secondo voi sono intervenuto? Sono rimasto “pietra” o mi sono attivato? Certo che sì, come potevo non rompere un po’ i cosiddetti? Alla fine, nello spazio riservato alle domande, ho chiesto se un po’ dello sforzo sacrosanto di portare meglio e di più il teatro agli alunni non dovesse essere anche un po’ rivolto ai docenti, per renderli più consapevoli della loro inevitabile dimensione performativa, e quindi, per diventare anche, grazie alle tecniche del Teatro, docenti migliori.
La risposta alla prossima puntata…