Che Boris Pahor sia morto alla vigilia della Festa della Repubblica è uno dei piccoli regali che la vita elargisce: con parsimonia perché la semina fruttifichi meglio. Che poi lo scrittore sloveno di Trieste scampato ai lager nazisti se ne sia andato a 108 anni in tempo per vedere Putin aggredire l’Ucraina, macerie e carestie connesse è monito inesausto; cosa ancora deve accadere perché si impari dalla storia, dallo scontro tra poli estremi: il male assoluto inoculato in dosi diabolicamente sapienti così che le masse finiscon per ritenerlo “normale”; e gli sforzi per riscattare abiezioni di cui solo l’uomo è capace; cosa deve accadere perché sopravvissuti oltre al senso di colpa non vivan gli incubi di cui parlò Primo Levi: chi ha fatto ritorno non ha visto a fondo la Gorgone; chi l’ha vista non è tornato.
Pahor è impregnato di valori della Costituzione. Ha patito discriminazioni, ingiustizie, violazioni di corpo e anima cui la Carta nata dalla Liberazione ha rimediato con parole chiare, splendide, inoppugnabili. Di una regione di frontiera ha incarnato dolori, rischi, incomprensioni che dovrebbero svegliar coscienze oggi che si muore per il Donbas; per Kobane (i Curdi minacciati da Erdogan); in Terra Santa (non a caso si riattizzano scontri). Pahor ha visto nel 1920 i fascisti dar fuoco alla Casa della Cultura slovena per “italianizzare” negando l’esistenza delle minoranze. Nella Resistenza, sloveno ha patito i Titini. Preso dai nazisti è passato di lager in lager. Visita l’ultimo di questi, in Francia, tra curiosi e turisti: è lo splendido romanzo Necropoli (1965: in italiano tradotto 40 anni dopo!). Dove patì trova un cimitero con due scritte: Honneur et patrie – Ossa humiliata. Ha parole dure per «l’uomo europeo indolente e pauroso», che «ogni tanto nell’inconscio prova vergogna per questa situazione da eunuco» ma «ha già scialacquato in anticipo il patrimonio di onestà e di giustizia che avrebbe dovuto trasmettere alle nuove generazioni». Carta e Repubblica son la base perché non restino «ossa inaridite» le “ossa umiliate”; queste, dice Ezechiele, tornino a vivere: dai lager di Pahor; dalle fosse comuni ucraine e nel mondo; aiutino l’immissione di cuori di carne al posto di cuori di pietra.