Appunti sulla mondialità

Mi chiamavo Youns

Youns El Boussetaoui, 39 anni, moglie e due figli in Marocco, residente senza fissa dimora a Voghera. Tre settimane fa era stato sottoposto a TSO, la sorella che abita in città racconta che più volte aveva tentato di farlo dormire da lei, ma Youns preferiva le panchine. Da giorni dava fastidio agli avventori dei bar, senza mai diventare aggressivo e soprattutto senza mai avere usato oggetti in grado di fare del male e men che meno armi. Per la stampa è solo il “marocchino”, ucciso e cancellato il nome, per il suo assassino, perchè difficilmente se la caverà per legittima difesa, un pericolo sociale. Ma il punto è che l’assassino non era un passante qualsiasi, ma l’assessore “alla sicurezza”, che in quanto tale non era mai intervenuto prima per monitorare la condizione psichica e sociale di Youns e dei tanti Youns, italiani e “marocchini”, che troviamo per strada e che sono aumentati vertiginosamente durante la pandemia. Sicurezza per alcuni amministratori è qualche telecamera in più, e in questo caso patologico andare in giro armati con il colpo in canna per fare da soli. Mai prevenire le peggiori conseguenze del disagio psicologico o del naufragio sociale accompagnando e sostenendo i più deboli. Chiaramente si tratta della storia tragica di due disturbati, entrambi con problemi psichici di diversa natura. Ma la differenza è che uno era un marginale ritenuto “deviante” e l’altro un’assessore comunale considerato “normale”.
La politica ha già giudicato a prescindere, ora è il tempo della Giustizia. Ma questa storia drammatica ci racconta l’ennesimo fallimento delle cosiddette politiche di rigore contro l’insicurezza, che non aggrediscono mai le cause, ma si accaniscono sulle persone colpite dai fallimenti o dal disagio, creando solo nuove tragedie
  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Si è concluso questa mattina il presidio organizzato davanti all’ufficio immigrazione di via Montebello a Milano per chiedere la liberazione di Ayoub. Il ventunenne di origini tunisine è stato liberato dopo quasi 18 ore di fermo. Ieri pomeriggio si trovava davanti a un bar sotto casa insieme a un amico, quando è arrivata una volante della polizia che ha iniziato a controllare i documenti dei presenti. Gli agenti gli hanno tolto il telefono e l’hanno portato in questura perché il suo permesso di soggiorno non era in regola. Ayoub, che partecipa alle attività del centro sociale Lambretta ed è seguito dalla comunità Kayros di Don Claudio Burgio, ha passato la notte in questura in attesa di un’udienza per decidere della sua espulsione dal territorio italiano. Dopo aver fatto domanda d’asilo, questa mattina Ayoub è stato liberato. Il 22 aprile dovrà presentarsi nuovamente all’ufficio di immigrazione con il suo avvocato. Secondo il centro sociale Lambretta, che ha organizzato il presidio, “quello che è accaduto non è un’eccezione: è la normalità per oltre un milione di persone senza documenti in Italia. Un sistema che criminalizza la migrazione, sospende lo stato di diritto e produce esclusione sociale”. Dopo il rilascio di Ayoub, le persone in presidio, una cinquantina, l’hanno accolto con un coro: “Tutti liberi, tutte libere”. Tra gli applausi, i ragazzi e le ragazze che lo aspettavano si sono stretti attorno a lui in un abbraccio collettivo. Chiara Manetti ha intervistato Ayoub dopo il suo rilascio.

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    1) L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne. In esteri la testimonianza da Deir el Balah: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”. (Aya Ashour) 2) Washington potrebbe abbandonare gli sforzi per la pace in Ucraina. Marco Rubio da Parigi lancia un avvertimento che lascia più domande che risposte. (Emanuele Valenti) 3) Stati Uniti. Harvard dice no a Trump, lui congela i fondi. Lo scontro del presidente con le università americane è sempre più pericoloso. (Roberto Festa) 4) Un posto sicuro per la scienza. L’università di Marsiglia offre asilo accademico ai ricercatori in fuga dagli Stati Uniti. Quasi 300 fanno domanda in un mese. (Francesco Giorgini) 5) Messico, mentre il governo nega la responsabilità dello stato nelle sparizioni forzate, nel week end le famiglie dei desaparecidos si preparano alle giornate nazionali di ricerca delle persone scomparse. (Andrea Cegna) 6) Mondialità. La vittoria schiacciante di Daniel Noboa e la sconfitta del “Correismo” in Ecuador conferma i cambiamenti politici in corso in America Latina. (Alfredo Somoza)

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    quando invitiamo ad andare a esprimere il proprio sacrosanto voto alle consultazioni referendarie di giugno, poi la tiriamo per le lunghe con il ricco Antonio e infine ci occupiamo di odonomastica con la sezione reggiana delle Resistenze in Cirenaica

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