Youns El Boussetaoui, 39 anni, moglie e due figli in Marocco, residente senza fissa dimora a Voghera. Tre settimane fa era stato sottoposto a TSO, la sorella che abita in città racconta che più volte aveva tentato di farlo dormire da lei, ma Youns preferiva le panchine. Da giorni dava fastidio agli avventori dei bar, senza mai diventare aggressivo e soprattutto senza mai avere usato oggetti in grado di fare del male e men che meno armi. Per la stampa è solo il “marocchino”, ucciso e cancellato il nome, per il suo assassino, perchè difficilmente se la caverà per legittima difesa, un pericolo sociale. Ma il punto è che l’assassino non era un passante qualsiasi, ma l’assessore “alla sicurezza”, che in quanto tale non era mai intervenuto prima per monitorare la condizione psichica e sociale di Youns e dei tanti Youns, italiani e “marocchini”, che troviamo per strada e che sono aumentati vertiginosamente durante la pandemia. Sicurezza per alcuni amministratori è qualche telecamera in più, e in questo caso patologico andare in giro armati con il colpo in canna per fare da soli. Mai prevenire le peggiori conseguenze del disagio psicologico o del naufragio sociale accompagnando e sostenendo i più deboli. Chiaramente si tratta della storia tragica di due disturbati, entrambi con problemi psichici di diversa natura. Ma la differenza è che uno era un marginale ritenuto “deviante” e l’altro un’assessore comunale considerato “normale”.
La politica ha già giudicato a prescindere, ora è il tempo della Giustizia. Ma questa storia drammatica ci racconta l’ennesimo fallimento delle cosiddette politiche di rigore contro l’insicurezza, che non aggrediscono mai le cause, ma si accaniscono sulle persone colpite dai fallimenti o dal disagio, creando solo nuove tragedie