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Matteo, Giorgia e la memoria di Internet

Quando si arriverà a un processo per le torture nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e diventeranno pubblici tutti i video (pare ce ne siano di più cruenti) spero che l’opinione pubblica non si dimentichi di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

I due esponenti del nazi-trash italiano, a poche ore dalla denuncia delle violenze ai danni dei detenuti, hanno infatti messo in moto le rispettive macchine di propaganda per dichiarare la loro solidarietà incondizionata ai torturatori.

Certo, nelle prossime settimane rilasceranno dichiarazioni del tipo “chi ha sbagliato deve pagare”; “ho la massima fiducia nella magistratura”; “poche mele marce non possono mettere in discussione il valore degli uomini e delle donne in divisa”.

Ma a botta calda, Matteo e Giorgia (madre, italiana, cristiana, fascista) non hanno adottato formule prudenti. Hanno difeso “senza se e senza ma” gli indagati.

I due hanno anche minacciato esposti all’ordine dei giornalisti per averne pubblicati i nomi degli indagati (Giorgia e Matteo, vi do una notizia: pubblicare i nomi degli indagati è deontologicamente corretto e il fatto che siate entrambi iscritti all’ordine dei giornalisti mi dà semplicemente i brividi) gridando al linciaggio mediatico.

Ecco: invito tutti e tutte, quando si arriverà al dunque, ad andare a rileggere i post Facebook, Instagram e Twitter del dinamico duo.

Perché Internet, a differenza degli elettori di Matteo e Giorgia, una memoria ce l’ha.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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    L'economia del sud cresce di più di quella del nord. E l'autonomia differenziata, ovviamente, non c'entra niente. Pubblicato ieri l'ultimo rapporto Svimez sul Mezzogiorno. Pil Mezzogiorno: +0,9%. Pil Centro-Nord +0,7%. L’economia del sud cresce di uno “zero virgola” più del nord, ma a trainarla non sono tutte cose buone: le costruzioni (ma anche il consumo di suolo), gli investimenti del PNRR (una tantum). Ma sul sud continuano a pesare ritardi storici: i salari reali nel Mezzogiorno restano più bassi del nord; al sud si concentra il 60% dei lavoratori e delle lavoratrici poveri/e (1,4 milioni). E il governo cosa fa per superare i divari, escluso il dannosissimo progetto sull’autonomia differenziata? Ben poco, se si guarda la piattaforma dello sciopero generale di Cgil e Uil di domani. Che idea ha del lavoro il governo Meloni? Che cosa esprime la sua rivendicata attenzione prioritaria verso le imprese (“non disturbare chi vuole fare”)? Cosa significano le precettazioni sistematiche contro i lavoratori dei trasporti? E se tutto questo è vero, risulta così incompatibile con l’ordine pubblico la dichiarazione di Maurizio Landini, leader della Cgil, sulla rivolta sociale? Pubblica ha cercato di rispondere a questi interrogativi con la professoressa Giustina Orientale Caputo, sociologa del lavoro nella capitale del Mezzogiorno, all’università “Federico II” di Napoli.

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