“L’incidente è chiuso” è una bella elegia di Majakovski, poeta che mitizzò il sogno rivoluzionario, è morto (suicidato?) sotto Stalin, sempre vive coi suoi versi. Canta la rigenerazione da un amore finito: «Tu ed io / siamo pari. / Non vale la pena di citare / le offese / i dolori / e i torti reciproci. / Guarda com’è pacifico il mondo. / La notte / ha imposto al cielo un tributo stellato. / È in ore come questa / che si sorge / e si parla ai secoli, / alla storia, / alla creazione». La guerra è mattatoio degli amori, fucina di solidarietà e riscosse. I poeti danno parole che proteggono dagli orrori (oggi Bucha; altri ne verranno; angosce da fine di tutto) e seminano speranza contro ogni speranza; evocano Apocalissi (termine di sinistre risonanze, in realtà vuol dire “rivelazione”, mostrare ciò di cui non vogliamo prendere coscienza) e cantano Catastrofi (la parola spaventa ma significa “rovesciare il corrente modo di vedere”).
Majakovski e i suoi fratelli fan guardare lontano con coraggio e visionarietà; sono impregnati del tempo, ne condividono spasmi e attese; attingono allo Spirito del profondo, sino ai recessi dove l’asse terrestre ha uno dei due perni attorno a cui ruota il globo: l’altro è incardinato in cielo. Si sconfigge la guerra se non ci si lascia sopraffare dai suoi orrori. Quanto più essi sono indicibili tanto più la sveglia del poeta fa sorgere la ribellione all’inumano. Se gli eventi sembrano più grandi di quel che pensiamo di saper sopportare reazione istintiva è il contrattacco: sacrosanto per chi si difende, insidioso per gli altri; la guerra intossica l’aria col veleno della violenza prima che con armi. Sulla scia dei poeti la vita chiude i mortali incidenti dei conflitti. Un esempio: in risposta a Putin e ai cloni attivi o mimetizzati istituiamo il Servizio Civile Obbligatorio Europeo: un periodo di ferma e poi ogni anno alcuni giorni di “richiamo”, come coi vaccini.
Le nuove spese militari vadano a fondare generazioni di cittadini della Pace. Da giovani s’impara a riconoscer l’altro, a ricostruire dalle macerie di corpi, anime, case, scuole, ospedali le ragioni, i luoghi, le passioni dello stare assieme. I poeti rendono evidente ciò che visibile non è; a noi di trasformare utopia in storia.