Appunti sulla mondialità

Le catene del metano che ci legano a Mosca

Stati Uniti e Regno Unito hanno deciso di sospendere gli acquisti di greggio russo come sanzione ulteriore nei confronti del governo di Mosca. Sanno che in questo modo colpiscono al cuore l’economia post-sovietica che dipende – come quella di un qualsiasi Paese in via di sviluppo – pressoché solo dalle commodities. Quando si parla di energia da fonte fossile su scala globale, però, non si può fare a meno della Russia. Seconda o terza al mondo per produzione di petrolio, secondo l’annata, dopo gli Stati Uniti e in un continuo testa a testa con l’Arabia Saudita, la Russia è però al primo posto tra i Paesi esportatori. Se tutte le esportazioni russe di petrolio venissero interrotte, il totale dei prodotti raffinati subirebbe un taglio del 10%. Restringendo lo sguardo all’Europa, scopriamo che il 60% del greggio esportato da Mosca è venduto a noi. Quasi lo stesso copione per il gas: la Russia è il secondo produttore al mondo (dopo gli Stati Uniti), e il 70% del suo export è diretto in Europa occidentale. Tra le grandi economie, quelle più dipendenti sono Germania e Italia, mentre Francia e Regno Unito non corrono grandi rischi. Men che meno gli Stati Uniti, che stanno già correndo ai ripari promettendo al Venezuela di Nicolás Maduro di dimenticare il passato in nome di un new deal energetico. L’embargo contro le vendite di fonti energetiche fossili da parte della Russia creerebbe dunque un grande scompenso a livello globale, e in modo particolare per l’Europa. Nell’immediato, non si riuscirebbe a colmare il vuoto facendo rientrare in famiglia il Venezuela né ricorrendo al gas liquefatto qatarino, da rigassificare.

La questione è che l’Europa, in questi decenni, ha sì costruito solidi legami commerciali ed economici con la Russia, ma mai legami politici, e ora ne paga il prezzo. Il blocco dell’import di gas naturale in Europa avrebbe senza dubbio l’effetto di raffreddare le ipotesi di ripresa economica e alimenterebbe processi inflazionari a livelli che non si vedono da molto tempo. Finora le sanzioni applicate alle banche russe hanno risparmiato quella di Gazprom, perché se non si potesse pagare il gas il rubinetto russo si chiuderebbe: e per questo Germania e Italia, come visto i due Paesi più dipendenti da Mosca, premono perché l’UE non si pieghi alla linea degli Stati Uniti. La situazione è paradossale e racconta meglio di mille analisi che cos’è l’odierno mondo globale e quanto siano profondi i legami di interdipendenza economica creati negli ultimi decenni. Ma Paesi che convivono sullo stesso continente, e che hanno saldi rapporti commerciali, restano antagonisti geopolitici. Entrambi con le mani legate per paura di perdere il fornitore oppure il cliente.

È la polpetta avvelenata che ci hanno regalato da un lato la globalizzazione, dall’altra le ritrosie e i ritardi nell’uscita dalle energie fossili. Il grido d’allarme lanciato da Greta Thunberg e dalla sua generazione perché i “grandi” si occupassero finalmente del cambiamento climatico e della transizione energetica ora viene amplificato dalla crisi ucraina, perché energie rinnovabili non vuol dire solo aria pulita, ma anche maggiore indipendenza energetica e geopolitica. Due dimensioni che mancano all’Europa e che ora gli europei vorrebbero conquistare alla spicciolata. Ma manca il tempo: sostituire totalmente il fornitore russo potrebbe significare, a essere ottimisti, due o tre anni di privazioni, inflazione, rincaro di tutti i beni di prima necessità. Ciò che è stato costruito nei passati 40 anni non può essere smontato in due mesi. Questo è il bello e il brutto della globalizzazione: siamo tutti sulla stessa barca, nel bene e nel male. Ed è questa una lezione ancora più dura di quella del Covid per un’Europa che, se continuerà a muoversi in ordine sparso, sarà sempre più al traino di fattori che non può, o non vuole, governare.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato l’accordo per un cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Se non ci saranno sorprese, la tregua dovrebbe entrare in vigore a partire da domenica a mezzogiorno. In questo contesto, sono sempre più le ONG che chiedono che il governo israeliano permetta a giornalisti e osservatori internazionali di entrare nella striscia, dopo quindici mesi in cui non è mai stato possibile. Tra queste c’è il Cospe. Abbiamo parlato con Anna Meli, la presidente.

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    Esteri di venerdì 17/01/2025

    1) Il gabinetto di sicurezza israeliano approva l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Fino a domenica, però, le bombe continueranno a cadere. Più di 100 persone sono state uccise nella striscia dall’annuncio dell’accordo. (Anna Momigliano - Haaretz, Francesco Sacchi - Emergency, Anna Meli - Cospe) 2) Fentanyl, Taiwan e Tik Tok. Donald Trump e Xi Jinping parlano al telefono per la prima volta dal 2021. “Risolveremo tutti i problemi insieme” dice Trump, mentre la corte suprema statunitense conferma il bando di TikTok. (Gabriele Battaglia) 3) La Geopolitica dell’AI. Washington cerca di mantenere il suo vantaggio nella battagli per l’intelligenza artificiale. (Marco Schiaffino) 4) La legge di depenalizzazione dell’aborto in Francia compie 50 anni. Il discorso di Simon Veil, pronunciato davanti ad un’Assemblea tutta maschile, fece la storia. 5) Mondialità. La sconfitta della diplomazia e la geopolitica nel frullatore. (Alfredo Somoza)

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    Sessantotto lavoratori e lavoratrici della ristorazione licenziati. Grandi Stazioni Retail ha deciso di non rinnovare il contratto d’affitto con Sarf, la società che da anni gestisce alcuni esercizi commerciali negli spazi della stazione Centrale di Milano. Da qui l’annuncio dei licenziamenti. I sindacati hanno indetto la prima di una serie di giornate di sciopero e oggi hanno fatto un presidio in piazza Duca d’Aosta, vicino all’ingresso della stazione. Abbiamo intervistato Valeria Cardamuro, segretaria della Uiltucs Lombardia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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