Appunti sulla mondialità

La tecnica dei populismi

Tutti i populisti, anche se di segno politico diverso, presentano tratti in comune. Il primo, che da sempre spicca sugli altri, è l’attacco violento portato al rivale non solo sul piano politico ma anche, e soprattutto, su quello personale. Demolire l’avversario, accusarlo di essere corrotto o debole, anziano o poco avvenente, affermare che ha parentele o amicizie “pericolose”: fa tutto parte della retorica corrente dei populisti. Non importa, ovviamente, che le accuse di immoralità, di corruzione o di altri reati siano o meno fondate – anzi, spesso sono fake news di portata gigantesca – né che l’avversario mai si sognerebbe di compiere a sua volta attacchi che scendano sul piano dell’aspetto o della prestanza fisica. Invece Donald Trump può daredel “vecchio rimbambito” a Joe Biden, malgrado i suoi 77 anni abbondanti (e portati piuttosto male); Javier Milei seminare in pubblico sospetti sulla moglie del primo ministro spagnolo in base ad acclarate fake news; e Vladimir Putin affermare che le istituzioni ucraine sono in mano a una classe politica interamente nazista. Hitler, del resto, costruì la sua criminale ascesa politica “spiegando” che certi tratti somatici degli ebrei confermavano il loro essere colpevoli di tutti i mali della Germania. Venendo a noi, su un livello diverso e assai meno pericoloso, un certo comico italiano prestato alla politica iniziò il suo percorso dando del “nano pelato” o dello “psiconano” all’avversario.

Il populismo, infatti, non punta a vincere sul piano delle idee, come è normale in democrazia, ma si spinge ben oltre. Punta a demonizzare e demolire il pensiero avverso, ad attaccare fisicamente coloro i quali ostacolano un percorso che mira, in sostanza, a costruire un regime. Per questo l’offesa al rivale, l’attacco che ne prende di mira la fisicità o l’età, è tipico del fascismo. Che non cerca il confronto ma solo la prevaricazione, soprattutto con la forza, perché non considera il dissenso un diritto né tantomeno una voce da ascoltare per migliorare il proprio operato, ma lo interpreta come un atto d’insurrezione, una ribellione contro l’ordine che si vuole costruire. Chi è contrario, allora, è una zecca”, uno “scarafaggio”, un “ratto”.

Quanto pesino problematiche di salute mentale nel comportamento di diversi populisti è difficile da stabilire: il terreno è scivoloso, e non vorremmo rischiare di scendere sullo stesso piano. Quello che è evidente è che in tempi e scenari politici, culturali e politici diversi, l’insulto e la disinformazione funzionano sempre. E non soltanto perché i talk show televisivi sono una scuola di formazione che orienta al turpiloquio politico, “pollai” dove nessun tema viene mai approfondito e nessuna posizione espressa in modo da essere ben compresa: anche prima della comunicazione di massa moderna, quello della manipolazione del dibattito politico era un meccanismo ben oliato. Perciò, per ridurre i rischi, tra le regole auree di una vera democrazia ci devono essere la libertà di stampa e il rispetto delle idee di tutti. Rispetto perché è fondamentale mantenere il dibattito entro i limiti della civiltà, con toni che permettano di esprimersi e di capire; libertà di stampa perché i giornalisti hanno, o dovrebbero avere, il dovere di verificare le notizie e fare informazione corretta.

Nel 2023 sono stati uccisi nel mondo 99 giornalisti: tentavano di raccontare l’economia dei narcos in Messico, le violazioni dei diritti umani nelle Filippine e soprattutto le conseguenze dell’intervento militare israeliano a Gaza. La buona notizia potrebbe essere che per la prima volta da tanti anni la Russia non compare in questo elenco, ma ciò accade perché non sono rimasti più giornalisti da eliminare, dopo le purghe degli anni scorsi e le fughe all’estero. Lo specchio da osservare per provare a immaginare un mondo governato dai populisti, senza più stampa libera, lo offre proprio la Russia di Putin, dove è vietato pronunciare la parola guerra e si rimodella il passato fino a renderlo mitologico, dove chi critica il potere e il capo è un essere “decadente e degenerato” al soldo dell’Occidente.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato l’accordo per un cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Se non ci saranno sorprese, la tregua dovrebbe entrare in vigore a partire da domenica a mezzogiorno. In questo contesto, sono sempre più le ONG che chiedono che il governo israeliano permetta a giornalisti e osservatori internazionali di entrare nella striscia, dopo quindici mesi in cui non è mai stato possibile. Tra queste c’è il Cospe. Abbiamo parlato con Anna Meli, la presidente.

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    Esteri di venerdì 17/01/2025

    1) Il gabinetto di sicurezza israeliano approva l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Fino a domenica, però, le bombe continueranno a cadere. Più di 100 persone sono state uccise nella striscia dall’annuncio dell’accordo. (Anna Momigliano - Haaretz, Francesco Sacchi - Emergency, Anna Meli - Cospe) 2) Fentanyl, Taiwan e Tik Tok. Donald Trump e Xi Jinping parlano al telefono per la prima volta dal 2021. “Risolveremo tutti i problemi insieme” dice Trump, mentre la corte suprema statunitense conferma il bando di TikTok. (Gabriele Battaglia) 3) La Geopolitica dell’AI. Washington cerca di mantenere il suo vantaggio nella battagli per l’intelligenza artificiale. (Marco Schiaffino) 4) La legge di depenalizzazione dell’aborto in Francia compie 50 anni. Il discorso di Simon Veil, pronunciato davanti ad un’Assemblea tutta maschile, fece la storia. 5) Mondialità. La sconfitta della diplomazia e la geopolitica nel frullatore. (Alfredo Somoza)

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    Sessantotto lavoratori e lavoratrici della ristorazione licenziati. Grandi Stazioni Retail ha deciso di non rinnovare il contratto d’affitto con Sarf, la società che da anni gestisce alcuni esercizi commerciali negli spazi della stazione Centrale di Milano. Da qui l’annuncio dei licenziamenti. I sindacati hanno indetto la prima di una serie di giornate di sciopero e oggi hanno fatto un presidio in piazza Duca d’Aosta, vicino all’ingresso della stazione. Abbiamo intervistato Valeria Cardamuro, segretaria della Uiltucs Lombardia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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