La prima volta che ho scritto di Libia avevo poco più di vent’anni ed ero dottorando di ricerca nella Tunisia del dittatore Ben Alì. Allora, poco meno di oggi, la Libia era territorio di predazione della vita umana, per mano di contrabbandieri di corpi e di mercanzie al soldo della corrottissima polizia di Gheddafi. La stessa polizia passata, in seguito, a presidiare i campi di detenzione e gli interessi dei trafficanti di esseri umani. La stessa polizia che non disdegna di esercitare la propria ferocia comportandosi alla pari di un’organizzazione criminale. Già in quegli anni, quando mi capitò di incrociare tra Douz e il Sahara una comitiva di contrabbandieri libici nemici di Gheddafi, mi resi conto di quanto il destino della Libia fosse in qualche misura legato all’Italia. Non all’Italia mussoliniana, ma quella democratica e repubblicana. Già allora si sapeva che le mafie italiane collaboravano con la dogana, la marina e la politica libica, esportando cocaina, armi e savoir faire, importando denaro e esplosivi. Già allora si sapeva che vi erano spie italiane sul territorio libico. Per questo non mi stupisce che adesso si stia scoprendo che l’intelligence italiana abbia sottoposto a controllo e spionaggio un numero ancora imprecisato di giornalisti italiani interessati a raccogliere informazioni e a costruire contatti con fonti libiche. Come non mi stupisce che questo controllo sia partito quando aumentava la pressione sulle Ong operanti nel Mediterraneo, come non mi stupisce che questo controllo sia avvenuto con grande dispendio di risorse pubbliche. Ciò che mi stupisce è che questo spionaggio avvenga, a ragionarci su, per raccogliere informazioni che un sistema di intelligence dovrebbe saper raccogliere per conto proprio: mettendo in atto un ennesimo, chiaro esempio di cialtroneria italiana. Ciò che mi spaventa, invece, è che questo spionaggio produrrà una forte diffidenza verso i reporter italiani, indebolendo la possibilità di cercare la verità. Una verità che, nel caso della Libia, è un groviglio di interessi privati e pubblici. Interessi che vogliono controllare l’informazione italiana per screditarla come hanno fatto con le Ong. E questo è un uso improprio del mandato dei servizi di spionaggio che non favorisce il processo democratico libico.
La Libia, l’Italia e gli spioni
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Leonardo Palmisano
Bari 1974, autore e presidente della cooperativa di LegaCoop Radici Future Produzioni. Colomba d'oro per la Pace e premio Livatino contro le mafie. Per Fandango Libri ha pubblicato la trilogia dello sfruttamento (Ghetto Italia, Mafia caporale e Ascia nera), e ha iniziato la serie di gialli dedicata al bandito Mazzacani (Tutto torna, Nessuno uccide la morte, Chi troppo vuole). Dirige il festival antimafia LegalItria. Editorialista per il Corriere del Mezzogiorno e altre testate.