La scuola non serve a nulla

La “Giornata Internazionale degli Insegnanti” e alcune attività di inizio anno…

Cose che faccio in classe mentre dal Ministero arrivano deliri

Cari colleghi martiri dell’Istruzione, bentornati: anche quest’anno, dopo quel dolce mese e mezzo in cui noi insegnanti riscopriamo il piacere della vita per poi vederlo dissolversi al suono della prima campanella, ecco che, freschi come una mozzarella scordata al sole, tempo un altro mesetto e puntuale vediamo arrivare pure il 5 ottobre, “La Giornata Internazionale degli Insegnanti”. Un appuntamento immancabile come le zanzare a Ferragosto o l’herpes labiale prima di un appuntamento galante, ma anche un’occasione per riflettere seriamente in che stato siamo, come categoria, e dove sta andando la nostra professione.

Quest’anno, tra le meraviglie della scuola italiana, spiccano varie perle. Innanzitutto, l’algoritmo criminale che scippa cattedre ai precari storici: un capolavoro di sadismo digitale, un incomprensibile Tetris giocato sulle vite degli insegnanti contro cui giustamente veementi sono le proteste per una situazione non ancora risolta. Poi la proposta di legge di eliminare dalle scuole una roba che non esiste, cioè la fantomatica “Teoria Gender”, di modo che, a furia di richiami, qualcuno mosso a compassione possa prendersi la briga di inventarla davvero, finalmente. Segue la circolare col divieto di usare il cellulare in classe, un’insulsa condanna alla vita preistorica degli studenti; che fa pendant, nel Festival dell’Irrazionale che è ormai il nostro Ministero, con l’avvio in alcune scuole italiane della sperimentazione per l’uso didattico dell’Intelligenza Artificiale. E ancora, il nuovo voto in condotta, che, sommato al ritorno ai giudizi sintetici nella Primaria, è il nostro personalissimo biglietto di sola andata per la scuola degli anni ’50, ma senza l’unica cosa buona che quella scuola aveva: il suo essere davvero “ascensore sociale”. Insomma, perché costringere gli studenti a vivere nel XXI secolo, quando possiamo catapultarli direttamente nel Medioevo? Magari prossimamente si proverà a reintrodurre la scrittura cuneiforme su tavolette d’argilla… ma se tutto ciò fosse nient’altro che una gigantesca e sibillina proposta per un “compito di realtà” in Storia (e ancora non l’avessimo capito), vi prego: anche meno, che la cosa vi ha preso un po’ troppo la mano…

Dulcis in fundo, per non farci mancare nulla, la proposta dell’ultima ora è quella – non è una barzelletta – di adottare alla Primaria il libro “Perché l’Italia è di Destra”, di Italo Bocchino. Il titolo è di quelli che ti spingono a far bagagli e trasferirti su Marte; per l’autore, poi… ma che Rodari, Andersen o Saint-Exupery: “Bocchino per tutti”, e bona lì.

Ma non siamo qui per raccontare tragedie, o almeno non solo. Volevo più che altro parlarvi di un paio di mie personali pratiche didattiche di inizio anno, giusto per cercare di non trasformare il fegato in polvere da sparo visto quello che ci arriva dall’alto, che la follia può essere un’eccellente strategia di sopravvivenza a tutto ciò.

La prima attività, una specie di “Hunger Games” emotivo alla Stephen King, prevede il mio ingresso in classe, nei primi giorni dell’anno, con un sorriso inquietante da Joker e la successiva distribuzione di biglietti sui quali chiedo agli alunni di scrivere anonimamente – ma è un anonimato che dura quanto una dieta a Natale – i loro desideri più segreti, le paure più angoscianti, le speranze più luminose in vista del nuovo anno scolastico. In pratica, una specie di “Caro Diario”, ma senza il lucchetto e con più suspense. In contemporanea, io stesso, con la mia calligrafia da referto medico post sbornia e durante un terremoto, scrivo su un foglio “Come vorrei che fosse quest’anno scolastico”: diventa il sigillo di una scatola in cui raccolgo i bigliettini scritti dai ragazzi passando tra i banchi come un monaco questuante.

Poi quella scatola, saldata col foglio della vergogna e lo scotch del mistero, la si lascia lì per tutto l’anno appollaiata su un armadio della classe, quasi un gufo giudicante a fissar gli alunni, mentre raccoglie polvere e un po’ dei loro sensi di colpa, a metà tra l’incombenza di un’urna cineraria e la goffa tenerezza d’un innocuo cucù abbandonato.

L’ultimo giorno di scuola la scatola verrà aperta, come l’armadio di Narnia, e i bigliettini verranno letti: ma al posto di leoni e streghe ci troveremo davanti aspettative schiacciate, sogni infranti e i segreti più reconditi degli alunni, e lì si giocherà di bilancino tra aspettative e realtà. Se l’alunno riterrà di svelarsi alla classe come autore del bigliettino appena letto, bene. Se no, ancora meglio: eviteremo scena da telenovelas brasiliana.

Chiaro che dovrebbero scrivere cose attinenti alla scuola, o frasi simil Perugina tipo “spero che mi trovo bene coi compagni” e bla bla, ma nel corso degli anni sono venute fuori cose da sceneggiatore di Netflix: una ragazzina mogia mogia in una scuola in provincia di tanti anni fa, che sperava nella guarigione della madre (era in terapia per cure complicate… spoiler uno: a fine anno tutto bene, quindi lieto fine); l’alunno con ambizioni olimpiche che sognava per il marzo successivo di vincere i campionati nazionali juniores di non so più cosa (spoiler due: ricordo però che li vinse, quindi applausi); e poco tempo fa, lo strazio d’uno studentello X che manifestò quanto avrebbe gradito fidanzarsi con la compagnuccia Y, durante quell’anno, per una sorta di pubblico “Ti vuoi mettere con me: SÌ / NO” (ma pare che lei lo abbia subito friendzonato in una solitudine che ancora rimbomba nei corridoi, non solo quell’anno ma pure gli altri successivi due di Medie).

La seconda attività è un po’ più creativa. Chiedo ai miei alunni di inventare verbi. Sì, avete capito bene: verbi nuovi di zecca, freschi di fabbrica, neologismi, con tanto di significante e significato, la parola e il senso. Poi, li faccio coniugare come fossero verbi regolari (tanto devono imparare le desinenze, non le radici… tanto vale…). Quest’anno, con i miei alunni, sono saltati fuori verbi tipo pandare (“affezionarsi a una specie in via d’estinzione”, per esempio i prof. con contratto a tempo indeterminato), rigere (“grattare le unghie lunghe contro la lavagna”, cioè il suono dell’Apocalisse), faccere (“guardare dall’alto al basso in modo giudicante”, l’espressione base di ogni docente il lunedì mattina), crogare (“cercare parole sul dizionario per vedere se esistono”), furchire (“fare tanti assaggi di gelato prima di scegliere il gusto), e tardicchiare (“mordere in continuazione Il tappo della penna”). Ma tra i miei preferiti, anche lostincere (“dire sì o no con la testa”, perfetto per il Collegio Docenti), franceloquire (“parlare con gli animali”, che è ciò che faceva il poverello di Assisi ma può tornar utile anche in certe classi di quindicenni), eremare (“isolarsi”, ideale per certi prof. durante gli scrutini), zugrinare (“portare fuori il cane quando piove”, uno sport estremo, in pratica) e barmire (cioè “trovare un senso a verbi inventati per un compito di italiano”). Sì, roba da scrittore di fantascienza che ha esagerato col metadone, ma questi verbi poi li coniughiamo: partendo dal primo, presente indicativo, “io pando, tu pandi, egli…” ecc.

Ecco, mi pare la degna conclusione per augurarvi buona “Giornata Internazionale degli insegnanti” e buon anno scolastico. Meglio inventare verbi assurdi che prendere l’ulcera pensando a quel che succede nei piani alti.

E se tutto va male, ricordate: c’è sempre la possibilità di una carriera come scrittori di dizionari surreali…

 

Che ne pensate? Per qualunque cosa vogliate dirmi riguardo ai miei articoli su questo Blog, dagli apprezzamenti, ai consigli, alle critiche fino agli insulti (questi ultimi però purché formulati rigorosamente in lingue antiche), scrivete a: antonellotaurino1@gmail.com .

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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    Gaza, ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar

    Il capo di Hamas Yahya Sinwar è stato ucciso dall’esercito israeliano. La notizia è stata diffusa nel pomeriggio, dapprima tramite social, poi dai media di Tel Aviv. Un’ora fa hanno iniziato ad arrivare le prime conferme ufficiali. Secondo la versione diffusa fino ad ora, Sinwar sarebbe stato colpito da una pattuglia di soldati israeliani a Rafah mentre si trovava per strada, armato, insieme ad altri due miliziani. A minuti è atteso un discorso del premier israeliano Netaniahu. La morte dell’uomo più ricercato di gaza apre naturalmente molti interrogativi sul futuro della guerra e sul destino degli ostaggi ancora detenuti nella striscia. Sinwar aveva assunto la leadership di Hamas dopo l’uccisione di Ismail Hanyeh. È considerato una delle menti del 7 ottobre, per un anno ha gestito la guerra dalla striscia di Gaza. Era, almeno formalmente, l’obiettivo numero 1 di Tel Aviv. Il ritratto di Paola Caridi, giornalista e scrittrice.

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