Mi sento inerme dal 24 febbraio dell’anno scorso: fu svolta, schiaffo, sveglia a una coscienza resistenziale intorpidita Putin che invase l’Ucraina. Inerme non perché privo di armi; inerme senza strumenti umani per parare le aggressioni di chi semina violenza, odio, negatività, morte; non la morte-fine-d’un-ciclo ma annientamento, il nulla, come non si fosse mai esistiti. L’odio è eliminazione, damnatio memoriae, in chi l’agisce e in chi risponde in modo simmetrico. L’orrendo attacco di Hamas a Israele ha chiuso un cerchio? Improprio: le bolge infernali vanno a spirali, più giù. L’odio ha il volto di atti terroristici sconvolgenti, sovversivi; ma il suo è un potere diabolico: genera l’impensabile, il non umano. Sono inumane le stragi: sparare nel mucchio, uccidere per uccidere, esibire crimini efferati come avvertimenti mafiosi; lo sappiamo noi dalle stragi neofasciste: piazza Fontana, piazza della Loggia,
stazione di Bologna. Dal 7 ottobre mi rende inerme un assillo ulteriore: il non umano non è solo la mattanza, ma anche indurre l’impotenza. Non è umano il non trovare in sé – oltre a indignazione, condanna, solidarietà per le vittime d’ogni parte – la pensabilità e l’agibilità d’una reazione: per sé, in gruppo, in piazza. Inerme avverto il non umano di non sapere immaginare cosa posso fare io contro il male perché sia detto un “no” squillante, attivo, che non s’esaurisca in testimonianza, non salvi la falsa pace delle coscienze ma crei inciampi condivisi ai gironi infernali. Se non prendo coscienza che anch’io
posso pensare e fare qualcosa, che fermare le stragi dipende anche da me, dal cambiare qualcosa a casa mia, dal disporre l’animo a uguaglianza, rispetto, giustizia, non seminare odio sui social e contrastare politiche discriminatorie, finirò per divenir corresponsabile del degrado etico, identificato con lo spirito
di tempi bui, agito da un inconscio collettivo caotico, irresponsabile, distruttivo. Inermi, nudi, provata la vergogna d’aver colto il frutto dell’albero della conoscenza e d’aver scelto il male invece del bene ci salva il ritrovare la comune umanità. È poesia Dante che fuori dall’Inferno torna «a riveder le stelle». Realtà noi divenuti forti della coscienza d’essere inermi; lì ripartire.
Inermi
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Marco Garzonio
Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.