Dopo 17 anni Manu Chao annuncia “Viva Tu”, il suo nuovo disco d’inediti, che uscirà il prossimo 17 settembre. E pubblica l’omonima traccia con relativo video, la sognante Viva Tu. In anni bui, stretti fra guerre, pandemie e ignoranza in libera uscita, il delicato augurio del clandestino è questo – viva tu, che vuol dire pressapoco “lunga vita”. Un augurio a volerci bene, resistere, ritagliarci dei momenti sereni per imparare a essere e andare avanti.
Diciassette anni dicevamo, diciassette anni pieni di viaggi, concerti, esperienze, tanta vita ma nemmeno un disco da vendere, promuovere, utilizzare per alzare le richieste di concerti. Pochissimi artisti al mondo potrebbero permettersi una simile scelta, e Manu è fra questi. D’altronde il suo percorso è sempre stato “diverso”, anche qui sta il suo fascino.
“Clandestino – Alla ricerca di Manu Chao” di Peter Culshaw – uno dei libri di “letteratura musicale” più pazzeschi che mi sia capitato di leggere – racconta una vita veramente fuori dal comune.
Ma cosa ha fatto “il clandestino” dai tempi di “La Radiolina”, il suo ultimo disco?
Per un periodo è ancor più sparito dai radar, volando sempre più basso, fino quasi a scomparire. E ha viaggiato, si è spostato, come ha sempre fatto: Sud America, Africa, Francia, Spagna, tanto Brasile, dove vive suo figlio.
Poi, dopo qualche anno di stop, è tornato a produrre nuova musica con una certa frequenza, collaborando con tanti artisti, ma senza realizzare dischi completi. Solo singoli, rilasciati quando ne ha avuto voglia e scaricabili gratuitamente sul suo sito ufficiale. Un percorso personale ben lontano dai circuiti del mainstream ma che, sorprendentemente, non gli ha fatto pagare dazio. Nonostante abbia da poco compiuto sessant’anni, non esca con un disco d’inediti da 17 anni e non conceda interviste da quasi 10, Manu Chao ovunque vada a suonare riempie, e il suo pubblico non ha smesso di seguirlo; ai suoi concerti è ormai sempre più frequente vedere padri coi figli grandi e, c’è da scommetterci, presto arriveranno anche i nipoti.
Fra le tante collaborazioni in cui si è speso Manu negli ultimi anni, non si può non citare quella con la celebre Calypso Rose, autentica regina della musica caraibica. I due si sono incontrati al Carnevale di Trinidad e Tobago nel 2015. “Si è presentato al mio hotel con delle ciabatte vecchie, dei pantaloncini e una chitarra piccola e rovinata”, racconta lei. E l’ha incantata, come fa con tutti.
I due sono finiti a lavorare insieme all’album Far From Home, uscito nel 2016. Quel disco, un irresistibile mix di calypso e soca, con un pizzico di reggae e l’inconfondibile chitarra di Manu a insaporire il tutto, è diventato un successo mondiale che ha portato la quasi ottantenne cantante nativa di Trinidad ad esibirsi al Coachella, diventando l’artista più anziana ad aver calcato il palco del celebre festival americano.
I due hanno continuato la loro collaborazione, incidendo una nuova versione della canzone “Clandestino”, uscita nella ristampa dell’omonimo disco rilasciata dalla Because per il ventennale – Clandestino Bloody Border – insieme a due brani inediti: Roadies Rules e Bloody Border.
La prima risale ai tempi di Clandestino e agli anni della depressione, infatti parla della malinconia, della tristezza e della disperazione di quelli che non hanno: “Nessun motivo per svegliarsi domani”.
“Bloody Border” è invece dedicata alle terribili condizioni di vita dei migranti nelle tendopoli in Arizona; Manu la scrisse a seguito del tour americano del 2011, che Peter Culshaw ha così ben documentato nel suo libro.
Dal 2017, i singoli rilasciati da Manu e scaricabili gratuitamente sono stati tantissimi. C’è stato il progetto Ti.Po.Ta. (acronimo di Transe Indie Progressiv Organik Trash Amor), realizzato insieme all’ex fidanzata, l’artista greca Klelia Renesi. Un rilassante mix etnico che ha regalato altissimi momenti in brani come Winds, Do you ear me Calling, Athina Vrazi, Anatoli e, soprattutto, l’ipnotica Moonlight Avenue. E poi ci sono state le release firmate dal solo Manu, seppur spesso avvalendosi del featuring di altri artisti. Una lunga serie di canzoni in grado di riempire ben più di un disco. In mezzo a questa ritrovata epifania artistica, un doloroso lutto nella vita del desaparecido, con la morte del leggendario padre, lo scrittore Ràmon Chao, che è passato dall’altra parte nel maggio del 2018.
Nel periodo covid, complici le limitazioni, Manu ha messo su un progetto acustico più snello, “El Chapulin Solo – Manu Chao Acustico”, composto da solo tre elementi, che ha portato in giro dando l’impressione di divertirsi un mondo. Insieme a lui sul palco, lo hanno accompagnato due musicisti giovani ma straordinariamente preparati come Luciano Falico alla chitarra e Mauro Mancebo alle percussioni.
Sono andato a vederlo nel 2021, sempre nella mia Genova. Un concerto particolare per tutta la città e, forse per l’intero paese, visto che coincideva con i 20 anni esatti dal G8 e dalla morte di Carlo Giuliani. E un concerto importante per il sottoscritto, dato che portavo mio figlio Alessandro di appena sette anni – un super “manuista” – ad assistere al suo primo live.
Quando vidi Manu, dopo quasi 10 anni, e mio figlio gli corse incontro abbracciandolo come se lo conoscesse, con il “desaparecido” che ricambiava l’abbraccio sorridente, non nego mi commossi. Sarà che era il primo evento pubblico dopo un anno e mezzo di una pandemia che ci aveva messo tutti a dura prova, sarà che nella vita ultimamente me n’erano capitate un po’ troppe, a partire dalla scomparsa del mio adorato fratello, ma assistere a un momento così libero, pulito e spensierato come l’abbraccio fra un bambino e l’artista che ama, mi emozionò.
Manu era sempre lui, forse un po’ invecchiato, ma alla fine nemmeno troppo. Quello sguardo consapevole, un po’ da sciamano timido, era ancora lì, profondo e bellissimo. La stessa persona sobria, garbata, per bene e tranquilla che già avevo avuto modo di apprezzare in passato.
Ci sedemmo dietro al palco, a un passo dalle acque melmose del porto di Genova, e passammo un po’ di tempo insieme.
Poi lui salì sul palco e Alessandro cantò a squarciagola tutte le canzoni, godendosi a pieno il suo primo concerto. Una signora vicino a me scoppiò a piangere appena Manu attaccò “Otro Mundo”. Poco dopo, a due ragazzi decisamente più giovani si inumidirono gli occhi mentre veniva suonata “La Vida Tombola”. Personalmente, il momento lacrima mi colse mentre partiva il ritornello di “Mala Vida”. E di sicuro, tutti sentimmo qualcosa di simile a un groppo in gola mentre cantavamo a squarciagola “Clandestino” e “Desaparecido”.
Verso la fine, dal pubblico si alzò il grido “Carlo è vivo e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai”; a quel punto Manu cominciò a battere ritmicamente il microfono sul cuore. Bom. Bom. Bom.
Fu un momento potentissimo. Di quelli che non si dimenticano.
Mentre tornavo verso casa, con mio figlio che saltellava felice ricantando tutte le canzoni sentite al concerto, realizzai che Carlo Giuliani, avrebbe avuto 44 anni. E magari, esattamente come me, sarebbe stato al concerto di Manu Chao, con un bambino piccolo per mano che sta spalancando gli occhi verso il futuro.
Go masai, go masai, be mellow.
Go masai, go masai, be sharp…
Non vedo l’ora sia il 17 settembre.
Viva tu
viva noi
Buona estate