Ha avuto il coraggio di ribadirlo davanti alle telecamere, senza mezzi termini. “Mohammad Bin Salman è un mio amico, lo conosco da anni. E non c’è nessuna certezza che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi. Sul quale peraltro da parte mia c’è una condanna piena evidente. Se voi – ha detto rivolgendosi ai giornalisti – avete certezze sul mandante non è così per l’amministrazione Biden. E io mi fido più di quest’ultima”.
Ecco, sull’omicidio Kashoggi non ci saranno certezze (per lo meno a livello giudiziario) ma sull’attitudine alla repressione dell’amichetto di Matteo Renzi, ce ne sono parecchie.
Per informazioni, il segretario di Italia Viva può chiedere ad Abdulrahman al-Sadhan, cittadino saudita che nel 2018 è stato condannato dal tribunale di Riad a 20 anni di carcere. La sua colpa? Aver usato un account Twitter per colpire con l’arma della satira e della parodia il “democratico” governo saudita.
Il caso è riemerso in questi giorni grazie alle rivelazioni di Bloomberg e del Guardian, che hanno acceso i riflettori su un attacco hacker ai danni del social network avvenuto qualche anno fa. Un lavoro dall’interno, eseguito da impiegati Twitter al soldo del regime saudita e che da subito era stato considerato come un tentativo di scoprire l’identità di alcuni utenti del social network che Riad considerava “scomodi”. L’obiettivo principale, si scopre ora, sarebbe stato proprio Sadhan, titolare dell’account @sama7ti.
Sarebbe interessante sapere cosa pensi il vulcanico Matteo di un governo che sfiora l’incidente diplomatico con gli alleati statunitensi (i due agenti sauditi infiltrati in Twitter sono stati incriminati, ma non arrestati) per individuare un cittadino saudita “disobbediente” e sbatterlo in cella per 20 anni.
Magari potremo assistere a un’altra puntata dell’avvincente format “Renzi intervista Renzi”, in cui verrà illustrato il ruolo del reato di opinione nel formidabile “rinascimento” avviato da Mohammad Bin Salman in Arabia Saudita. Non vedo l’ora di vederla.