Sul tavolino del soggiorno c’è una ciotola trasparente piena di piccoli sassi lisci. Sono tutti neri, tranne uno che è bianco. Martina, quando viene da noi, sgombera il tavolo dalle fotografie non prima di aver nominato tutti i ritratti – non sbaglia mai i nomi – poi va a prendere i suoi giochi e li mette in un canto e si dedica alle pietre. Ne tira fuori una per volta, le guarda con attenzione, rintraccia le forme, me le comunica, poi cerca quello bianca – è contenta quando la trova – e le sposta tutte in un cestino. Talvolta le conta e quando vuole aumentare il coefficiente di difficoltà, lo fa in inglese fino a dieci perché lo ha imparato all’asilo e così sa che noi le facciamo un mucchio di complimenti. Prima di andare via dovrà mettere in ordine perché sua madre glielo ha spiegato e lei lo fa tranquilla: dal cestino i sassi tornano alla ciotola, le matite nella vaschetta, i giochi in un loro posticino sulla libreria.
Mi piacciono i riti di Martina, mi piace la concentrazione con cui esamina ogni sassetto, mi piace il suo entusiasmo quando ritrova quello che preferisce: è liscio e nero come gli altri ma a guardar bene, mi ha mostrato Martina, ha la vaga forma di un cuore. Mi piace che stia a suo agio nella ripetizione dei gesti e che ogni volta li rinnovi e mi mostri una qualche scoperta.
Dal suo sereno mondo di duenne – quanto valga questa serenità ce lo dice ogni telegiornale – mi arriva non soltanto il calore ma anche la piccola lezione di questo Natale in cui sembra arduo o vano persino nominare le grandi speranze: dare valore, guardare con occhi nuovi, non stancarsi di mettere fila le pietre. Se possibile costruire, cercando di tenere in equilibrio anche i sassi più lisci. Per le cose difficili, si sa, bisogna rivolgersi ai bambini.