Lo so: molti di voi non ci hanno dormito per una settimana. Ad altri gli ha preso la stessa ansia di Berlusconi che aspetta una prescrizione o di Salvini prima di uno sbarco… Però, la regola del marketing dice che bisogna creare un po’ di suspense e io mi ci adeguo, anche perché quando leggete il finale non ci credete, tant… “Oh, insomma, ce lo dici o no come è ti andato a finire il Concorsone pandemico?”
Preferite subito o dopo che vi ho ricordato che è partita la tournée di “LA SCUOLA NON SERVE A NULLA 2.0”: dalla BUONA SCUOLA alla DAD”? Ok, ve lo dico. É che la volta scorsa mi ero dimenticato di dire che la cosa è andata per le lunghe: il Ministero infatti non aveva nemmeno previsto prove suppletive extra per i precari che non l’avrebbero potuto sostenere in quanto positivi loro, positivo un parente, positivo un alunno… insomma per tutti i precari così carichi di positività da compensare la negatività del mio stato d’animo. Solo che, alla fine, qualcuno si è incazzato e il TAR gli ha dato ragione: prove suppletive da tenere urgentemente alle prime calende greche disponibili.
Per non dire di quelli che neanche sono arrivati in quella specie di rifugio alpino travestito da ITIS dove si teneva la mia prova del concorso: un po’ perché eravamo talmente in quota che il navigatore non prendeva (ci si orientava con gli stambecchi); un po’ perché all’epoca le regioni erano più arcobaleno di una comunità LGBT a San Francisco; e un po’ perché se anche riuscivi ad arrivarci senza COVID, il minimo sindacale era prendersi una polmonite dal freddo che c’era nell’unico albergo disponibile per il pernotto (peraltro in un paese nei paraggi): un certo pomposo Overlook Hotel, che sarebbe stato chiuso in quei giorni novembrini ma causa le tante richieste lo hanno riaperto ad hoc (era popolato solo da candidati della stessa mia prova!), con un surreale clima alla Shining, un tasso di allegria decisamente inferiore, e il riscaldamento di un igloo in Groenlandia.
Ma soprattutto perché, a detta di tutti, questa prova non valutava assolutamente, in alcun modo, la preparazione e le capacità di un insegnante, e qualcuno ci si è un pelo incazzato. Spiego. La prova consisteva di cinque domande aperte più un quesito di inglese (punteggio minimo per superarla: 56 sul massimo, 80). Domande fattibili se non addirittura semplici, per carità, lo sapevamo: il punto è che nel tempo a disposizione per la prova non prendeva la cattedra neanche Albert Einstein mischiato a Usain Bolt, visto che avremmo dovuto digitare il tutto, rileggere e correggere con una velocità improponibile, non umana: solo 150 minuti per elaborare unità didattiche che in genere chi lavora da anni progetta sì agevolmente, da sempre, ma nel lasso di tempo di alcuni giorni, se non settimane! Pensate quindi la mia gioia di disgrafico grave, che inverte le lettere anche al comtuper… ecco, nel realizzare che si trattava di un concorso focalizzato solo sulla velocità di battitura, nient’altro che una gara per dattilografi. Sì, perché scemo io a non aver capito che la dattilografia è invece asse portante della formazione del docente, nonché ineludibile strumento pedagogico. Come ben ci hanno spiegato nel tempo, del resto, grandi pedagogisti ed eminenti personaggi della cultura:
-“Un bambino, un dattilografo, una barra per gli spazi e un tasto per il maiuscolo possono cambiare il mondo.” (Malala)
-“Nelle tipografie, dattilografi appassionati dovrebbero insegnare ai giovani scriventi a liberare la fantasia e battere le lettere con il “loro” carattere… per dire, non solo col minuscolo… tanto, se macchi puoi sempre pulire con carta ASSORBENTE” (M. Montessori)
-“Non mi interessa quanto veloce l’alunno sa digitare: mi interessa quello che sa digitare con i pochi tasti funzionanti che ha.” (G. Wiggins)
-“Nel passaggio dallo stadio operatorio concreto allo stadio operatorio formale, il bambino impara a digitare senza guardare la tastiera.” (J. Piaget)
-“Finché nelle tipografie ci saranno solo le tastiere per Pierino e non quelle per Gianni, la dattilografia non sarà mai un atto realmente democratico.” (Don L. Milani)
-“Ricordate, ragazzi: tra le due strade sulla tastiera, dovrete sempre scegliere di percorrere la meno battuta, magari con tutte le dita, non con una sola: insomma, come diceva il nostro poeta, il vecchio zio Walt QWERTY.” (R. Williams, “L’attimo fuggente”)
-“…Sì, va be’, attivismo una jigsaw… se mi date all’esame la tastiera cinese mi imputtanate tutto, però, eccheccaz…” (J. Dewey)
– “Comunque, fare il punto e virgola è sempre un casino. Un po’ come digitare correttamente il mio nome.” (L. S. Vygotskij)
Insomma, per farla breve, esco all’alba dall’Overlook Hotel. Arrivo all’Itis, formalità di rito, mi siedo. Giusto il tempo per accertarsi che la distanza tra i candidati sia effettivamente rispettata (qui sì, ma altrove no… e però, come ci siamo arrivati qui?) e che i tasti del computer siano duri come la pelle di un tamburo azteco, che compare il testo della prova.
Le domande non sono solo facili: direi che sono, sinceramente parlando, proprio BELLE e STIMOLANTI!
Allora digito quasi con entusiasmo (parola che non pensavo di usare, in questo racconto) e più velocemente possibile le lunghe risposte. Alla fine ritorno da capo a correggere la prima domanda: prendo atto che ho scritto un testo a metà tra il disgrafico irrecuperabile e il dialetto polacco ormai in disuso di Katowice, tipo: volevo scrivere “Il cane abbaia in cortile”? E invece ho scritto “Lì anc WQab baaai i n ortilPPo nn”. Risistemo le prime tre risposte. Le altre non riesco, scadono i minuti a disposizione, chiudo la procedura, firmo, me ne vado.
In questi mesi ho pensato: anche se non lo passo, cosa mai succederà? Niente, a settembre il Ministero mi avrebbe richiamato comunque come supplente (anche se in teoria non sarei idoneo a insegnare, non avendolo superato), e amici come prima.
Poi una ventina di giorni fa sono usciti gli esiti.
Ricordate che il minimo era 56? Ho preso 56,30.
56.00 per le risposte; 0,30 per il polacco.
Gioia? Molto contenuta.
Perché entrerei sì in ruolo, ma non è chiaro dove, e sarà difficile restare nella scuola in cui sono stato felicemente negli ultimi quattro anni. Potrei finire a Busischio di Viggiù: per legge non posso rifiutare… ma mi andrebbe comunque ancora di culo poiché, siccome metà di quello che ho scritto è effettivamente in polacco, può essere che mi diano la cattedra davvero a Katowice.
Considerate soprattutto, però, che si è trattato di un concorso insanguinato. Statistiche alla mano, è impossibile escludere che non abbia lasciato nessuno strascico di contagi, disagi, ricoverati, e… Insomma: è un concorso contro cui mi sono battuto e di cui non sono per nulla orgoglioso.
E allora sai che ti dico? Che io il ruolo quasi quasi lo rifiuto.
“Ma non è vero, dai, stai scherzando!”
No. Ecco, vedrete poi se è vero o no che scherzo.