Una mia cara amica, femminista intelligente e impegnata, ieri era a Roma ed ha partecipato al presidio in ricordo di Martina Scialdone, uccisa dal suo ex compagno in un ristorante della capitale. Ha scritto a sera, la mia amica: “Tanta gente… ma mi sto chiedendo, serve?”.
Ecco, la domanda è questa e in tante ce la poniamo: serve? Cosa serve? Perché non è mai abbastanza? Perché sembra di svuotare il mare con un cucchiaino, e il mare è l’oceano della violenza e delle tante scuri che si abbattono sulla vita delle donne – in Afganistan, in Iran, nella democratica America che ostacola chi vuole abortire, qui da noi, sotto casa, al tavolo accanto del ristorante dove una donna discute con un uomo perché vuole lasciarlo e in cambio riceve una pallottola letale. O in Spagna dove le quattro donne uccise in poco meno di 24 ore, dopo un crudelissimo mese di dicembre, fanno dire al ministro degli Interni che siamo davanti a un ‘terrorismo di tipo machista’. La Spagna, proprio il paese in cui era stata promulgata una delle più avanzate leggi del mondo in materia di violenza di genere nel lontano 2004, dove si usa un algoritmo per predire la violenza e dove oggi ci si chiede cosa si è sbagliato, cosa serve e si sposta il focus sul controllo del potenziale aggressore a forza di braccialetti elettronici.
E ci si domanda cosa serve, cosa dobbiamo fare ancora perché avvenga, ad un livello visibile, apprezzabile, diffuso, lo scatto che tanti uomini hanno fatto e che molti di più ancora non fanno, continuando a pensare le donne come una proprietà, e ad agire il dolore di un abbandono come una cruenta vendetta.
È morta tra le braccia di suo fratello Martina Scialdone, è morta pochi giorni prima una ragazza di Genova, Giulia Donato si chiamava e aveva solo 23 anni, e subito dopo Martina una donna di 43 anni, Teresa Di Tondo, ammazzata a coltellate. Nel primo e nel terzo caso, come spesso ormai accade, gli assassini si sono tolti la vita che sono stati incapaci di vivere, così tanto da toglierla a una donna: e fa pensare questa impotenza distruttiva. Giulia, Martina, Teresa: sono la contabilità infinita di una strage che non accenna a diminuire. E poi ci sono le vite ferite, quelle che alla cronaca non arrivano, che restano urla da un appartamento vicino, o litigi al tavolo accanto e che ti lasciano lì a chiederti: cosa faccio, intervengo, chiamo la polizia, speriamo che finisca, che tutto si calmi…
E non si calma niente, e ci vuole il grande coraggio di chi ogni giorno continua a svuotare quel mare – nei centri antiviolenza, ma anche nelle relazioni di aiuto tra amiche, sorelle, vicine di casa, uomini di buona volontà anche, certo – per non sentirsi sfiduciate, sopraffatte e per non dubitare. Serve, serve tutto – lavorare sugli stereotipi, con i giovani, con i figli, mettere soldi e risorse su questo piatto, scriverne, parlarne, non abbassare la guardia, uscire di casa per stare con altre in un presidio sotto la casa di una, l’ennesima, vittima. Serve, ma stasera che fatica.