Vent’anni fa il mondo assisteva all’inizio della guerra in Iraq: una guerra avviata sulla base di una nuova linea in materia di diritto internazionale elaborata dalla Casa Bianca, all’epoca governata da George W. Bush. Si chiamava “legittima difesa preventiva”. Estranea alla Carta delle Nazioni Unite, era stata utilizzata per la prima volta dagli Stati Uniti nel 2001, per invadere l’Afghanistan, e ufficializzata nel 2002 con l’inserimento nella National Security Strategy presentata da Bush al Parlamento di Washington. Era una dottrina figlia degli attentati dell’11 settembre, utilizzata a caldo contro l’Afghanistan accusato di dare rifugio a Osama bin Laden, leader della rete terroristica sunnita Al Qaed. Secondo l’intelligence americana, da lì bin Laden avrebbe potuto organizzare attentati contro strutture e cittadini degli Stati Uniti. In realtà, bin Laden sarebbe stato individuato e ucciso solo nel 2011, non in Afghanistan bensì in Pakistan, alleato di ferro degli Stati Uniti.
La preparazione dell’intervento militare contro l’Iraq, invece, si basava sull’ipotesi che Saddam Hussein, il dittatore di Bagdad, fosse in possesso di armi di distruzione di massa. Fu la prima volta in cui uno Stato democratico divulgò e usò ufficialmente una “fake news”, costruita a tavolino, per indirizzare l’opinione pubblica nazionale e internazionale. Il 5 febbraio 2003, l’allora segretario di Stato americano Colin Powell si presentò all’ONU con una fialetta piena di polvere bianca: era antrace, a suo dire, e costituiva la prova dell’esistenza dell’arsenale chimico dell’Iraq. Ma, dopo anni di guerra, in Iraq l’antrace non fu mai trovato. lo stesso Powell nel 2005 definì quel discorso all’ONU una macchia per la sua carriera.
Intanto, però, il principio della “legittima difesa preventiva” si era affermato, superando quanto recita sullo stesso tema il 51° articolo della Carta dell’ONU. Tornando indietro nel tempo, soltanto l’intervento del 1990 per liberare il Kuwait dall’invasione irachena fu compiuto rispettando tutti i crismi del diritto internazionale: riuscì, infatti, a ottenere il via libera dell’ONU grazie all’astensione dell’URSS nel Consiglio di Sicurezza. Per il resto, con il diritto di veto in mano a cinque potenze schierate su fronti diversi, nei casi di violazioni della Carta dell’ONU è stato impossibile arrivare a interventi concordati e condivisi. Perciò la dottrina della legittima difesa preventiva è diventata una scorciatoia interessante. Non soltanto è stata usata dagli Stati Uniti, ma è condivisa da Australia e Regno Unito, e anche da Israele. L’ultima convertita alla dottrina-Bush è stata la Russia di Vladimir Putin, che ha giustificato l’invasione dell’Ucraina in base all’ipotesi che il Paese confinante potesse diventare una base operativa della NATO, mettendo così in pericolo la sicurezza russa.
Oggi, al momento di iniziare un dialogo tra le parti in guerra, è questo il grande intoppo: come conciliare il diritto dell’Ucraina di riavere i territori occupati, sancito dalla Carta dell’ONU, e il diritto della Russia a garantirsi che da quella frontiera non arrivino pericoli in futuro, rivendicato sulla base della “legittima difesa preventiva”. Un rebus di difficile risoluzione. Per garantire la pace nel mondo, invece, le prime mosse dovrebbero essere la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la riscrittura delle regole: perché, se siamo arrivati a questo punto, è anche grazie all’uso disinvolto del diritto à la carte da parte dalle potenze globali.