L’altro giorno in televisione un importante giornalista, ex direttore del Tg1, ha spiegato di essere contrario all’imposta di successione perché “un milione di euro è il valore di un appartamento familiare come quelli in cui viviamo tutti noi“.
Ora, qui non si tratta ovviamente di mettere alla gogna un collega per una frase non felicissima uscita in un talk show.
Ma questa visione della realtà – secondo cui tutti viviamo in case da un milione di euro – spiega bene il distacco dei grandi media e delle grandi firme dal mondo reale.
E spiega soprattutto perché ogni volta che qualcuno osa proporre di redistribuire un po’ le ricchezze tassando i grandi redditi e i grandi patrimoni, i media italiani insorgono, per carità, non mettete le mani nelle nostre tasche.
I grandi media sono posseduti, diretti e firmati da persone che vivono molto al di sopra della stragrande maggioranza degli italiani. Non è quindi strano se si schierano a favore dei propri interessi, contro ogni patrimoniale e contro ogni imposta di successione.
Peccato che tutto questo poi crei opinione, crei egemonia culturale, crei mainstream. Si convincono le persone – quelle che guadagnano 1500 euro al mese o meno – che una redistribuzione è impensabile e diabolica, che è comunismo sovietico.
Ma tassare i grandi patrimoni e cambiare la legge berlusconiana che fa dell’Italia il paese con meno imposte di successione in Europa non è né diabolico né comunismo sovietico.
È una forma minima di riformismo sociale.
Quel minimo di riformismo sociale che in Italia è un tabù e che invece Biden sta provando a introdurre negli Stati Uniti.
Dove, anche se non lo dice nessuno, le imposte di successione sono già più alte che da noi.