Qualcosa sta scricchiolando dalle parti della Silicon Valley, e non soltanto a causa del crollo della Silicon Valley Bank, la sua banca principale. I segnali preoccupanti riguardano tutta la bolla speculativa che, negli ultimi vent’anni, ha portato ad attribuire alla produzione immateriale un prezzo esageratamente superiore rispetto al suo valore reale. Basti pensare al caso di Tesla, che è arrivata ad avere una capitalizzazione di borsa superiore a tutto il resto del settore mondiale dell’auto messo insieme. O di Amazon che, pur occupandosi semplicemente di logistica, è stata valutata come se fosse l’azienda del futuro. Quotazioni folli, che hanno portato i proprietari di queste aziende a diventare gli uomini più ricchi della terra. Ora il circuito autoreferenziale che ha alimentato la crescita delle startup californiane è in crisi: banche che finanziavano qualsiasi idea, fondi di investimento che realizzavano giganteschi affari puntando su startup promettenti per ricavare, dopo poco tempo, cento o mille volte la cifra investita. Tutto nel nome di creatività e innovazione, che c’erano sì, ma solo ogni tanto, perché non era questa la vera priorità.
Le app che avrebbero dovuto cambiarci la vita e rendere il mondo migliore si sono presto dimostrate per quello che realmente erano: fantastici veicoli di pubblicità mirata che non avrebbero cambiato nulla, e men che meno migliorato la nostra vita. La tribù dei promoter, degli influencer, dei guru della rete, profumatamente finanziati dalla rete stessa, è ormai in declino. Resta come dato permanente la dipendenza da smartphone, soprattutto negli adolescenti: addiction che ora ha anche un nome, “nomophobia”. Difficile capire se questa nuova realtà venga considerata una patologia o, piuttosto, un’opportunità di fare affari.
Come sempre accade quando le bolle si sgonfiano, i primi a restare per strada sono i lavoratori. Amazon, Twitter e Google nei primi mesi del 2023 hanno licenziato 50.000 persone, e con il fallimento della Silicon Valley Bank, forziere delle startup californiane, si preannunciano nuove ondate di licenziamenti. Per molti, questo è il momento per abolire i privilegi, unici nella storia del capitalismo, degli oligarchi della West Coast. Come l’immunità sui contenuti pubblicati sulle loro piattaforme, la deroga dalla legislazione sul lavoro per i loro “collaboratori”, l’indifferenza sui monopoli di fatto che hanno creato, l’accondiscendenza verso le forme legali di elusione fiscale messe in piedi a livello mondiale. Ma il vero capitale di questo mondo restano gli utenti, miliardi di persone in tutto il mondo. Sono stati loro a farli emergere, sempre loro hanno il potere di affondarli.
I social e le piattaforme di acquisto e di scambio di beni sono destinati a diventare meno importanti perché riemergeranno i settori fondamentali dell’economia tradizionale? Il fatto che, da qualche tempo, i magnati della Silicon Valley stiano acquistando enormi appezzamenti di terre coltivabili potrebbe essere un indizio. Di certo, l’entusiasmo che ha fatto lievitare il valore di questo mondo si è sgonfiato, ma è anche in grado di riprendere slancio, magari in nuove forme: ovviamente, solo se saremo noi a premiarlo.