Se si torna qui a parlare della pesante molestia subita in diretta tv dalla giornalista Greta Beccaglia mentre stava lavorando fuori dallo stadio di Empoli non è per dire ciò che già tante volte, ed anche questa, si è detto, cioè che dietro quella pacca sul sedere c’è un’antichissima autorizzazione maschile a considerare a propria disposizione il corpo femminile, ma per ragionare sul pericolo da alcuni ora evocato, ovvero che ad un gesto assai esecrabile consegua una sproporzionata gogna social ai danni dell’autore.
È vero? È così? Ce ne dobbiamo preoccupare? E quanto? È invece la giusta, meritata conseguenza di un atto, la molestia, considerato normale o tutt’al più veniale e che oggi, e finalmente, una mutata sensibilità collettiva vede per quel che è e dunque condanna?
La cronaca racconta che il molestatore, Andrea Serrani, ora indagato per violenza sessuale, si è trasferito in una località segreta da dove ha espresso timori per la sua piccola figlia, dicendo, dopo essersi scusato, di non meritare la gogna mediatica che si è scatenata contro di lui. In rete e sui media il dibattito è aperto e assai vivace. Natalia Aspesi, su Repubblica, per esempio sostiene: “…voglio fare una differenza tra offesa e crimine, una mano sul sedere esige delle scuse ma non merita l’ergastolo, anche perché penso che nel tempo del fattaccio tre persone morivano sul lavoro. Tutti ad occuparsi di quel sedere, nessuno di quei tre morti”. Sulla sua bacheca fb, in un interessante scambio a molte voci, la psicoanalista Costanza Jesurum ha tenuto una diversa posizione: si tratta di un risultato positivo, ovvero di un cambiamento culturale, ottenuto attraverso un processo negativo ma sostanzialmente inevitabile, ovvero la gogna mediatica.
Si può dare un’altra via? Si può, nel discorso pubblico e più ancora sui social, non usare immediatamente il meccanismo dell’indignazione che invoca punizione a più non posso? Si può difendere uno spazio di confronto capace di separare il gesto da chi lo compie, di analizzarne le radici culturali e i contesti, senza minimizzare o derubricare o evocare fatti altri o più gravi – e stavolta no, Natalia, non siamo d’accordo. E si può ragionare, per converso, mettendo da parte la sanzione che troverà un altro luogo, ovvero quello di un giusto processo? Utopia, si dirà, soprattutto in tempi pesantemente inquinati dal populismo penale: il meccanismo social è questo, tutti concorrono, nessuno lo governa e i suoi esiti di stigma possono essere, sono, molto pesanti sulle vite. Può darsi, e a maggior ragione tenere fermo il punto della critica senza sconti ma senza anatemi e senza confondere i piani non mi sembra manifestazione di ‘buonismo’ nei confronti del molestatore di turno, ma l’importante difesa di un nostro collettivo discutere negli spazi social e non. Anche se, e sappiamo anche questo, sono le opinioni estreme ad essere premiate, e non solo dall’algoritmo.