Ho, in maniera convinta e commossa, firmato il referendum per rendere finalmente legale in Italia l’eutanasia. Chiunque abbia vissuto la fatica di morire di una persona cara sa quanto ogni giorno si strappi un pezzo di orizzonte e quante domande si accavallino – quelle importanti – sul senso, sulla responsabilità, sulla dignità, su cosa significa l’amore, e cosa la vita.
La Corte Costituzionale ha bocciato il quesito giunto al suo esame accompagnato dalla forza di un milione e 200 mila firme. Leggeremo le motivazioni, abbiamo ascoltato il presidente Amato nella sua inusuale conferenza stampa e le controdeduzioni del comitato Luca Coscioni che quel referendum ha promosso e che continua a difendere la qualità dell’enorme lavoro svolto. Il dato resta: il fine vita, questione che attraversa dolorosamente le storie di tanti e che tutti ci riguarda, resta la grande domanda inevasa, ancora oggi, Italia 2021. Aldilà di ogni labirintica e specialistica motivazione giuridica, aldilà di ogni lettura ‘politica’ dell’operato della corte e della polemica che già infuria su questo e sull’altro quesito bocciato, quello riferito alla legalizzazione della cannabis che, pure, era corredato da seicentomila firme, credo sia questo il nodo. Una richiesta forte, urgente che continua ad arrivare dalle cittadini e dai cittadini di questo paese incassa oggi un nuovo diniego, un nuovo stop che lascia a chi ne ha bisogno l’unica scappatoia nell’espatriare laddove è possibile scegliere, ma, attenzione, solo a chi questa libertà può pagarla. Sullo sfondo, tristemente, restano la politica e il parlamento: avrebbero dovuto essere invece in prima fila, fare il proprio mestiere, legiferare dunque, fossero capaci di ascoltare e tradurre i bisogni di noi cittadine e cittadini. Hanno dimostrato di non esserlo, e tocca ricordarselo quando parliamo di disaffezione, astensionismo, disinteresse.
Intanto c’è la vita, e c’è la fine della vita: quella non aspetta, quella continua a chiedere prezzi quotidiani a chi soffre, a chi sta loro accanto. C’è uno strumento alla portata di ognuno, ed è il testamento biologico che ci consente di dare disposizioni sulla nostra fine, sui trattamenti sanitari che ciascuno vuole o non vuole ricevere. Leggo da un’ inchiesta dell’associazione Luca Coscioni – vox clamantis in deserto – che alla fine di settembre del 2019 risultavano depositati presso i comuni solo 170mila testamenti biologici, leggo anche che il Ministero della salute che dovrebbe dare dati aggiornati e informazioni non lo ha ancora fatto.
Oggi, allora, questo mi aspetto e mi auguro: una grande campagna pubblica che informi i cittadini e li aiuti a formulare una scelta consapevole. A proprio nome, per la propria vita, per la propria fine. Se la politica buona c’è batta, almeno, questo colpo.