Immancabile, nella cena d’agosto tra amici, piomba la frase pronunciata come un addebito: “E come la mettiamo con il fatto che la prima premier della storia d’Italia sarà Giorgia?”. Sottinteso: come la mettiamo con voi (donne, femministe, progressiste) che martellate sulle pari opportunità, che battagliate sull’equa rappresentanza, che ‘pretendete’ declinazioni femminili per lavori e cariche pubbliche, che lamentate ogni discriminazione eccetera eccetera? Detto in breve e alla Montalbano, voi che rompete i cabasisi a chi avrebbe serenamente continuato a non porsi il problema e i problemi e che ora vi trovate per le mani una postfascista che probabilmente varcherà una soglia ad alto valore concreto e simbolico: la prima volta di una donna alla guida di un governo. E quale donna e quale governo.
Neanche il tempo di archiviare la cena, peraltro dimenticabile, che ci si guasta la colazione con il titolo del Corriere: se Fratelli d’Italia vince, dichiara Meloni, sarò io il premier. Il premier, a proposito di declinazioni del linguaggio, e non è certo questa la peggiore delle notizie, visto che l’ultimo sondaggio certifica il primo posto di Fdl nelle preferenze elettorali e lei come la più gradita tra i leader.
Qui oggi siamo, e nelle line social di femministe e donne della sinistra infuria il dibattito. Non è discussione nuova, ma stavolta parliamo del bersaglio grosso: mai nessuna è stata così vicina a centrarlo, e portandosi dietro tutto l’apparato ideologico che rimanda a Dio, patria e famiglia e che mette a rischio conquiste e diritti ottenuti e difesi con fatica. Mai nessuna: perché a destra le donne competono per il potere con meno timori, perché invece a sinistra stanno al riparo dal conflitto con gli uomini e restano all’ombra del capo di turno che spende parole forti, e solo quelle, sulle pari opportunità, perché dire donna non significa, in politica, per forza nominare una differenza, perché Meloni interpreta istanze patriarcali e dunque rassicura, perché questo e quello…. Ognuna – e ce ne sono anche altre – di queste spiegazioni racconta un pezzetto di verità, ma lì ci ferma. E incombe su di noi – vale la pena ricordarlo a chi da posizioni progressiste ha facilmente esultato per la caduta del governo Draghi – non solo un governo nettamente di destra che già basterebbe, ma una premier che sintetizza plasticamente il punto in cui si trova, anno 2022, questo paese.
Voteranno lei e il suo partito perché dice prima gli italiani e basta con gli stranieri e pure con l’Europa se è del caso, perché hanno pochi soldi e vogliono essere ‘protetti’ o ne hanno tanti e sperano di pagare meno tasse, perché se non c’è più l’uomo forte, nel 2022 va bene anche la donna forte che con il fascismo ‘ha un rapporto sereno perché è parte della nostra storia’. La voteranno, e mi sembra questione che ci deve inquietare, anche tante donne, non sapendo, mettendo tra parentesi, o fregandosene altamente di quanto ha detto in materia di aborto e diritti lgbt o della sua visione della famiglia. La voteranno e dovremo a malincuore riconoscere – oltre il danno, la beffa – che se la vincitrice non ci piace, la partita è stata più equa. Però, dopo che proprio tutti i buoi sono scappati, nessun alibi: può anche darsi che Meloni si dia un profilo di ragionevolezza perché governare l’Italia tra pandemia, guerra e crisi economica imporrà di farlo, ma la sberla farà male assai e a lungo anche perché, pure stavolta, una voce femminile autorevole e che faccia differenza dalle nostre parti nessuno l’ha sentita.