Ultimamente sto seguendo un po’ di corsi sull’uso dell’intelligenza artificiale nella didattica e a scuola in generale. Niente di straordinario: provo solo a stare al passo con lo strumento che più di tutti rivoluzionerà il modo di insegnare e l’approccio alle attività scolastiche nei prossimi anni. Una roba faticosa, lo so; ma bisognerebbe farlo tutti, se vogliamo costruire una scuola di domani che non sia peggio di quella di oggi.
Personalmente, non credo che l’AI, o ChatGpt (il chatbot dell’azienda statunitense OpenAi, al momento il più usato) potranno “distruggere” l’istruzione e la scuola. E però, scorrendo i commenti sulle pagine Social di docenti alle notizia che riguardano l’AI, si resta perplessi per la prevalenza dei toni di apodittica condanna e generale rifiuto, tanto più netti (è evidente, da certi commenti) quanto meno si conoscono questi strumenti. Spia d’una grande paura al riguardo, ma anche di come, su questi argomenti, una fetta non trascurabile di docenti parla solo per sentito dire (le due cose sono banalmente legate: si ha paura di ciò che non si conosce).
Cito un recente esempio, su tutti: i commenti sotto i post relativi all’adozione, in alcune scuole, di “Genia”, un software di Intelligenza Artificiale pensato a scopi didattici. Ecco, in queste pagine è tutto un proliferare di strali semplicemente “contro”, di inspiegabile quanto pigra (quasi mai “romantica”) resistenza a qualunque novità, il tutto oscillante tra il complottismo di “è uno schifo che serve solo per diffondere il pensiero unico e distruggere il pensiero critico, per impedirci di pensare e trasformarci in robot, contro cui ci dobbiamo ribellare” e il fraintendimento di “secondo me la versione di latino è meglio che la facciano i ragazzi da soli, per allenarsi, non che se la facciano fare da ChatGpt” (chi ha mai sostenuto, tra quelli che promuovono l’uso – neanche “l’uso responsabile”, no, solo “l’uso” – dell’AI a Scuola, che versioni ed equazioni debbano essere fatte dal Computer INVECE che dall’alunno?). Insomma, in altri termini: quanto in basso stiamo spingendo il dibattito, se lo polarizziamo svaccandolo in questi termini?
È davvero un peccato, perché se è poco probabile che nel medio termine l’intelligenza artificiale sostituirà i docenti in carne ossa, è anche per paradosso verosimile che, sul lungo, la possibilità di esserne rimpiazzati potrebbe tanto minore quanto più, noi docenti, saremo formati all’uso consapevole di questi nuovi strumenti tecnologici, imparando a integrarli nella didattica, padroneggiandone le caratteristiche e conoscendone vantaggi e svantaggi.
Però, dai: ci vuole davvero poco a capire che l’AI, se ben usata, può essere molto utile. A patto di rinegoziarne il paradigma percettivo (e in questo potrebbe aiutarci chiamarla “Intelligenza aumentata”, non “artificiale”): vederla cioè come un “esoscheletro cognitivo”, che può velocizzare tantissime operazioni fastidiose e poco creative del nostro lavoro, permettendoci quindi di dedicare più tempo all’aspetto immaginativo (e conseguentemente, essere più creativi, non meno). E se questa cosa vale per noi docenti, perché non dovrebbe valere anche per gli alunni?
Banalmente, ChatGpt può rendere più celere il brainstorming nella ricerca iniziale su un certo progetto; certo, sarebbe tuttavia azzardato affidarle poi il “core” dell’esecuzione o della creazione dello stesso, e non certo per questioni morali, ma perché l’ “AI fa sbagli, però resta comunque utile quando una soluzione parzialmente corretta è comunque buona o utilizzabile, o quando controllare la notizia costa comunque poco tempo”. Ergo: anche l’alunno che cerca semplicemente di prendere da ChatGpt la traduzione di una versione di latino (o la soluzione di un’espressione matematica) non ha la certezza che quel risultato fornito sia giusto. Da aggiungere poi che OpenAI ha recentemente sottoposto il suo Chatbot a dei test che non solo hanno confermano una percentuale di errori ancora importante, ma anche che tale veridicità dipende dalla lingua usata: più corretti, ovviamente, i risultati delle ricerche in inglese (fino all’85%), mentre si scende (anche al 60%) nelle altre lingue, in proporzione a quanto questo idioma è via via meno utilizzato nei corpora di testi presenti su Internet.
Ma al di là dell’esattezza, io poi, a scuola, per provare a far comprendere agli alunni l’importanza di promuoverne un uso responsabile (e quindi, comprendere quali operazioni sarebbe più opportuno affidarle, e quali no), ho affinato una sorta di controprova: appunto, fare esperienza non solo di ciò in cui essa ci può essere di grande aiuto, ma anche in quali settori, l’IA sia, al momento, prosaicamente, ancora una chiavica. Proviamo a precisarlo: in cosa lo è, ineluttabilmente?
Per lo specifico di quanto interessa me, docente di Lettere, azzarderò qui delle risposte, frutto di esperimenti e prove che illustrerò a seguire: l’AI si rivela carente nell’ambito creativo tout court; nell’aspetto “poietico” della produzione verbale, in quello di pura fantasia; nella realizzazione immaginifica di analogie, immagini, non detti; nella proposta di combinazioni inedite di enti preesistenti; nella capacità di costruzione narrativa coerente, nella scarsissima famigliarità con il linguaggio figurato: ecco, in tutto questo (non tanto nella vaghissima scarsa propensione a “esprimere sentimenti”), l’AI ancora per molto non ci sostituirà; e non ne parliamo quando ChatGpt si cimenta con testi umoristici (per quanto ci siano numerose prove, esperimenti e studi, al riguardo). Insomma, ChatGpt al momento scrive ancora “testi brutti”, che non solo “non emozionano e non fanno ridere”, ma non sono neanche intrinsecamente coerenti. Ma come far vedere in maniera evidente tutto ciò ai miei alunni?
Ho chiesto a ChatGpt di “scrivere delle poesie”, ma con l’idea di sfidare i grandi poeti della nostra letteratura. I risultati? Ve li mostro e vi spiego tutto la prossima volta, che se no qui diventa troppo lungo…
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