La settimana scorsa Giorgia Meloni si è fatta ricevere da Draghi: voleva far vedere che lei è il capo di un’opposizione responsabile, matura, rispettosa del gioco democratico, non più piazzaiola e sguaiata.
Subito dopo anche Salvini ha chiesto un incontro col premier, l’ha ottenuto e ne è uscito con toni tutti pacati, collaborativi, anche lui molto responsabili, moderati, quasi british.
Che cosa succede ai due leader della destra populista, in passato ai confini col neofascismo e CasaPound?
È successo che ormai danno per scontato la vittoria della loro coalizione alle prossime elezioni, ciascuno dei due vuole fare il premier – con Berlusconi fuori gioco – ed entrambi quindi hanno bisogno di essere sdoganati nella legittimità repubblicana, di essere accettati dalle cancellerie europee e atlantiche, dai poteri economici nostrani e internazionali, dalle Borse, insomma da tutto quello che serve per governare in questo secolo.
Quindi via le felpe e i toni sguaiati, ora si cinguetta con Galli della Loggia e si elogia l’europeista Draghi.
Sono in corso, per così dire, delle paradossali primarie striscianti della destra, giocate sui sondaggi ma anche sulla presunta nuova “credibilità moderata”.
In tutto questo colpisce la latitanza dell’altro campo: il Movimento 5 Stelle alle prese con la ricostruzione dopo il crac interno , il Pd impacciato, tiepido e quasi assente dal dibattito, Liberi e Uguali ormai diviso e non pervenuto.
Insomma di là ci si prepara a governare da soli, di qua sembra che non ce ne siamo accorti – e forse sarebbe il momento di darsi una sveglia.