Ci sono amici ai quali non telefono più. Amici cari, con i quali ho riso e litigato tanto, con i quali ho condiviso guai ed allegrie, progetti e delusioni pubbliche e private.
Ci sono amiche che non si danno pace: l’amica-sorella di una vita ridacchia e non sente ragioni. Anche a costo di non vedersi, di perdersi, di stare lontani. Altre cambiano discorso per non litigare, per non ferirsi, ma quel non detto rimane lì a pesare nell’aria e inciampa anche la confidenza più rodata.
Intanto le cene – per carità a gruppi piccini e tavoli allungati – sono già pervase da quella sottile incertezza: e adesso? Ci rivedremo presto o meglio prendere una pausa, meglio stare un po’ più attenti? Prima di Natale, chissà, vediamo. Qualcuno ha già una strategia: massimo 4 persone, ovviamente vaccinate, intorno al tavolo e molta cautela.
I più prudenti che non erano ancora tornati al cinema o a teatro adesso se ne dolgono: vedi mai che tra un po’ non si possa di nuovo. La terza dose per molti non è ancora vicina, non sono passati i fatidici sei mesi, e mentre festeggiamo chi l’ha già fatta, ci sentiamo più vulnerabili: inizia a fare freddo, i bambini e i ragazzi vanno a scuola, un paio di giorni di mal di gola allarmano le notti, un amico confessa che la paura è tornata a fargli scomoda compagnia, la coperta del vaccino che ha protetto la nostra estate si è fatta più corta e più lisa, le notizie non confortano, qui e lì. Natale? Boh, meglio non pensarci.
E sullo sfondo ci sono i nostri amici, quelli che non sentiamo, quelli con i quali si è aperta una faglia, che ogni giorno si allarga e che ormai contiene non solo un forte dissenso, ma anche un qualche giudizio morale. Eppure. I nostri amici non sono né stupidi, né fascisti. Anzi. Non li chiamiamo più proprio per non ascoltare quel tono saputo di chi del mainstream non si fida, e può stordirti con l’elenco delle malefatte di Big Pharma, può citarti studi e ricerche di nicchia – mica quelli che leggi tu sul Corriere della sera – che dimostrano che il covid è un grande abbaglio di massa mentre siamo, e proprio tu non te ne sei accorta, alla prova generale della società del controllo sotto l’imperio di tecnocrati alla Draghi. E tu pensi invece che qui c’è in ballo qualcosa di più esposto, di più nudo, qualcosa da proteggere in te e negli altri. Qualcosa che viene prima. In fondo hanno paura, dice la tua amica psicologa, mancano di empatia, ha argomentato lo scrittore Emanuele Trevi: nel senso di quella connessione con l’umano che c’è in ciascuno e in tutti e che ci fa ha fatto assumere la responsabilità di vaccinarci, per noi stessi e per gli altri. Nonostante i dubbi, il timore, la campagna su AstraZeneca, le polemiche sul green pass e via dicendo.
Dovresti voler chiamare i tuoi amici, dovresti avere voglia di spiegare, di incazzarti, di comunicare. Di chiedere di rispettare, loro, la tua paura e la tua vulnerabilità. Ancora e ancora. Sono i tuoi amici in fondo. E c’è la quarta ondata, i paesi intorno stringono di nuovo e di più le maglie, l’Austria impone l’obbligo vaccinale, i numeri crescono, tre quarti di mondo è senza vaccino. The big picture, come non vedere? Come non accorgersi che quel qualcosa che viene prima di ogni discussione si fa ancora più fragile, perché abbiamo poche energie e molti problemi e dunque va ancora di più e reciprocamente protetto? E invece no. Non hai più voglia, né più fiducia che parlarsi significhi parlarsi. Ti capita per le mani un articolo molto centrato di Annamaria Testa, La gran voglia di tirare i remi in barca, non riguarda questo aspetto, ma è proprio così. Sulla tua barca oggi manca qualcuno che prima c’era e che adesso vuoi solo tenere lontano.