È di più. Non è ‘soltanto’ un’offesa, un insulto, un’aggressione come in molte (e anche molti, finalmente!) hanno scritto in questi giorni. Parliamo del catcalling, quell’insieme di molestie di cui praticamente ogni donna sa di essere, in strada, potenziale bersaglio. E che spesso è ancora liquidato con l’alzata di spalla di chi minimizza o, invece, si preoccupa, poverino, di vedere limitata una presunta libertà di corteggiamento…
Per carità, il dibattito non è certo nuovo: da anni se ne parla, in Francia ci hanno fatto una legge apposita, la rete è ormai piena di video di donne che mostrano cosa ti accade in una qualunque giornata ‘normale’ per strada, a te ‘normalissima’ ragazza o donna che la percorre per le proprie occupazioni quotidiane. Ad ogni latitudine, non crediate sia la geografia il problema.
A riaprire la conversazione, che per una volta ha mobilitato anche commentatori, è stata Aurora Ramazzotti in una storia su Instagram: ‘Se sei una persona che lo fa, sappi che fai schifo”, ha detto, e, non bastasse ciò che le accade per strada, in rete, accanto al dibattito, è scorsa la solita marea di commenti sessisti e offensivi. Per la serie, anche il catcalling te lo devi ‘meritare’.
Da queste parti un ricordo e un commento. Il ricordo è quello di una giovane figlia che se ne andava alla scoperta della sua città su una bicicletta rossa e scompariva interi pomeriggi tornando deliziata da quartieri sconosciuti, cavalcavia di periferia e scorci urbani ed era bello vederla libera e allegra. Un giorno tornò a casa incazzata e disgustata: ferma a un incrocio arrivò a colpirla un commento volgare di uno che descrisse come viscido e impunito al tempo stesso. Che la guardava in faccia a pochi metri., mentre l’apostrofava. E la sua rabbia di ragazza era così evidente anche perché capiva che quell’omuncolo era riuscita a impaurirla: nonostante la giornata di sole, la bicicletta rossa su cui pedalare veloce, le case e la gente intorno. Nonostante lei si sentisse forte e coraggiosa.
Ecco perché il catcalling è di più: è un avvertimento – inconsapevole? Il risultato non cambia – è un mandarti a dire che, alla fine e nonostante tutto, le strade non sono il tuo posto, che ne sei una precaria inquilina, che lo spazio pubblico è dei maschi, come per secoli è stato in esclusiva, e ciascuno lo usa, ancora, come meglio crede. (Non tutti certo, non mi fate ripetere cose per me ovvie, ma che mi sono costate qualche amicizia).
È una questione di potere o meglio dell’esercizio di un micropotere: quello che fa sentire le donne per strada in una sorta di libertà vigile e vigilata, di giorno e, soprattutto, di notte. È quello, l’esercizio di potere, che vorrebbe farci, talvolta ci riesce, più caute e ansiose, dunque meno libere. Però più incazzate, ed è un bene, Aurora, mia figlia e le altre.