Caro Banksy,
ho portato i miei ragazzi a vedere la mostra “The world of Banksy – The immersive experience”, allestita dentro il Teatro Nuovo di Milano. Non so se tu ne sappia qualcosa, magari no. Come sempre, non è autorizzata da te. Comunque c’è. I due sono sempre più curiosi, sai, stanno crescendo. Fabri, poi, è molto attratto dai murales, pensa che siamo andati in giro per la città a fotografarli! Gli piacciono i colori, le figure strane e un po’ mostruose, come quelle che si trovano – ad esempio – al Barrio nel quartiere Barona di Milano (ci sei mai stato?). Franci, invece, è più interessato ai messaggi, alle cose che certi murales rappresentano e vogliono dire.
Così abbiamo deciso di andarci. Per aumentare la curiosità ho tirato subito fuori la cosa che non si sa chi tu sia, che forse non esisti nemmeno, hai presente, no? Ti assicuro che funziona anche con i bambini. Abbiamo fatto un mucchio di ipotesi: che tu sia una vecchietta, un super eroe, un gruppo di persone, alcuni amici che erano con noi hanno avanzato l’ipotesi che tu sia uno dei Massive Attack, o forse tutti, o forse di qualche altro gruppo. (“Magari i Maneskin?” “Mah, non credo…).
Insomma, alzata l’asticella dell’aspettativa e cosparsa un po’ di polvere di mistero, eravamo pronti per immergerci nella mostra. Poliziotto in tenuta antisommossa con mitra spianato e faccetta gialla da “smile” e le alucce da angioletto. Oddio. Cosa diavolo è? Fa ridere, però! Non sembra cattivo, così. Se la tua intenzione era quella, ci sei riuscito: bambini che ridono davanti a un energumeno armato fino ai denti.
Poi, ecco i due agenti che si baciano, quello che fa il gestaccio e quello, molto antipatico, che perquisisce una bimba vestita di rosa costretta con le manine al muro. Sai, caro Banksy, cosa dicono i bambini davanti a questo tuo disegno? Ci restano male. E vogliono sapere perché mai si debba perquisire una bambinetta con l’orsacchiotto. E sai cosa dicono alla fine? Che non è giusto. Ecco, vedi: non so se fosse quello l’effetto che avevi in mente, ma sappi che dei bambini hanno detto proprio così. Si sono accorti che qualche cosa non va. Non è giusto e basta.
Senti, poi la cosa dei topi li ha divertiti da matti. I topastri che si nascondono e che nessuno riuscirà mai a scacciare del tutto. Gli emarginati? Ma anche le nostre cattive coscienze che vorremmo nascondere e dimenticare. Ah, solo una cosa: la conclusione è stata che “a me i topi mi fanno un po’ senso”.
A un certo punto Fabri e il suo amico che era con noi si sono seduti davanti alla bambina che lascia andare il palloncino rosso a forma di cuore (o cerca di prenderlo?). Si sono seduti per terra e la guardavano. Io gli ho scattato una fotografia da dietro. Così anche loro due, alla fin fine, erano diventati parte del murale.
Franci scoppiettava domande: il copyright, la guerra, le armi, il muro, lo sberleffo, la regina con la faccia da scimmione, Churchill con la cresta punk, il leopardo che scappa dalla gabbia fatta con un codice a barre, Cristo su una croce di pacchi regalo, il consumismo. Alcune le abbiamo evase, altre no. Ma sai cosa penso? Che una sfilza di interrogativi e tentativi di risposta sia un buon risultato per uno che disegna sui muri, no? Voglio dire, lo so che tu lo fai apposta, che te le aspetti queste reazioni. Ma questi qui sono ragazzini! E ci hanno detto tante volte che sono apatici, superficiali, che non approfondiscono niente. Bene, sappi che i tuoi disegni – uno dopo l’altro – sono state pagine di un libro che hanno sentito molto interessante, molto stimolante.
Il murale della bambina abbracciata alla bomba è stato spiazzante. Qui Fabri proprio non ci capiva niente. Ma perché la abbraccia? Non è mica una cosa bella! E se scoppia? Pensa che ha provato a leggere il cartellino: si parla di società, attrazione per la guerra, esportazione della democrazia. “Niente, papà, non capisco. Però secondo me le bombe è meglio non abbracciarle”. Bene così.
Ah, grazie di aver fatto i due militari che disegnano quell’enorme simbolo della pace rosso. Anzi te lo dico con le loro parole: questo spacca! E giù di foto. Invece, quello della donna che toglie le strisce alla zebra e le appende ad asciugare è un vero casino. “Ma cosa vuol dire?” “Secondo me è contro le zebre…” “Ma no, è contro… no, anzi è per… boh!”. Ecco, vedi, mi è sembrato un po’ complicato, lì per lì, insistere sul rischio di prendersi cura, troppo. Fino a togliere le strisce, fino a togliere l’identità all’oggetto del proprio amore. Come potrebbe fare un genitore, per esempio. Vabbè.
Alla fine del percorso, tra video e suoni di strada, siamo arrivati al negozietto finale con i gadget della mostra. Tazze, sottobicchieri, calamite da frigorifero, cartoline, mascherine Covid, persino. Sarà in contraddizione con il tuo messaggio anti-consumistico? E se questa contraddizione contribuisse però a rafforzare il messaggio stesso? Ma tu cosa faresti, caro Banksy, con i tuoi figli? Gli faresti portare a casa un cimelio? Secondo me sì. E sai perché? Perché secondo me tu capisci abbastanza bene i bambini. E loro capiscono i tuoi murales: sono come titoli, come fotografie, rapidi, sintetici. Come un messaggio sul telefono. Bum! Arrivato. E quindi, caro mio, non fare lo snob con me: un ricordino lo compreresti, eccome, ai tuoi figli.
Ora ti saluto, poi la prossima volta mi spieghi come diavolo hai fatto a far scattare al momento perfetto il meccanismo che ha tagliuzzato a striscioline la tua tela appena venduta da Sotheby’s. Io poi me la rivendo con i ragazzi.
p.s.
Hanno comprato una riproduzione ciascuno da appendere in camera. Fabri il “gangsta rat”, Franci il cumulo di macerie con in cima i bambini che si tengono per mano.