È un silenzio senza desiderio quello che, temo, abbia colpito tanti di noi davanti allo spettacolo di infima categoria della caduta del governo Draghi.
Al silenzio, diciamolo, eravamo già abituati: il silenzio della distanza da chi ci rappresenta, ma anche quello sceso tra noi usi a definirci popolo di sinistra, e penso per esempio, prima ancora che al giudizio su questa crisi o alle tante disillusioni accumulate negli anni, alle differenze profonde che la guerra ha scavato. (A proposito, per chi sta a Milano e mentre Odessa è oggetto di un attacco missilistico russo: non perdete – capirete di più e altro sulla guerra e su quel luogo – la mostra fotografica QUI ODESSA. Cronache da una città che trattiene il respiro, straordinario progetto della fotografa ucraina Anna Golubovskaja e di Eugenio Alberti Schatz, autore e critico, che lo ha portato prima su Doppiozero come narrazione e ora, in forma espositiva, al Palazzo delle Stelline).
Dicevo, il silenzio. È di più stavolta, e mentre le elezioni (e un probabile governo di destra, chissà Meloni premier?) sono dietro l’angolo di questa estate rovente e neanche più l’ironia soccorre. Come potrebbe peraltro, se, da un lato, i media ci propongono un Salvini senza barba con sfondo di madonne variamente oranti e le stantie promesse – più pensioni per tutti – di Berlusconi e, dall’altra, ci tira per le orecchie un prete come Matteo Zuppi ricordandoci, oggi sulla Stampa, che i sei milioni di persone in povertà pagano il prezzo più alto di questa assurda crisi politica che rischia di bloccare o ritardare i fondi del Pnrr, e sappiamo (non tutti, pare) quanto disperato bisogno ne abbia l’intero paese.
E’ che, stavolta, letteralmente, ogni desiderio di politica – più eguaglianza, più sguardo sul futuro o quel che volete voi – appare sfibrato e vuoto, se non retorico, prima ancora di essere detto e, dunque, non arriva ad essere neanche formulato: effetto degli ultimi anni, di tutte le giravolte, della pandemia, della guerra, mentre qualunque populismo dilagava e imbarbariva. Anche a sinistra, certamente. Con questa improvvida crisi, poi, si è archiviata anche la residua speranza che una qualche serietà e competenza guidasse l’azione pubblica: di questi tempi in cui alla gravità dei problemi corrisponde una qualità bassissima del ceto politico, non era per niente, dentro e fuori le mura italiche, poco.
Andremo a votare a settembre, d’accordo: mi è quasi impossibile pensare di non farlo, per generazione e cultura politica. Senza desiderio però e comprendendo di più, stavolta, chi non lo farà.