«In ogni uomo v’è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. E neppure la persona umana. È semplicemente lui, quell’uomo (…) È questo che è sacro in ogni essere umano»: che «gli venga fatto del bene e non del male». Questo pensiero di Simone Weil allevia sgomento e tristezza per l’assassinio di Alika; il disinteresse collettivo intorno a Francesco che al Polo Nord chiede perdono per i crimini dell’Occidente (Chiesa compresa) che ha colonizzato i nativi violando singoli e identità culturali; l’indifferenza crescente sulla guerra di Putin all’Ucraina, tanto che, sentendosi legittimate dalla diffusa capacità di adattamento al peggio, la Serbia fa scintille col Kossovo e Cina e Usa si misurano su Taiwan. I tg han potuto dire “unanime condanna del mondo politico” per la brutale uccisione a Civitanova perché sugli “ismi” ci si può ritrovare: anche sul “personalismo” paradossalmente. I partiti a parole han condannato poi, ma: la Lega monta la campagna sicurezza (chiodo fisso di Salvini anti immigrati); la Meloni segue Orban che s’è scagliato contro il miscuglio delle razze (parola da bagaglio fascista); il Pd non ce la fa proprio con lo jus scholae. Da che parte stai emerge davanti un uomo, una donna, un bambino, un anziano. Di fronte ad ogni singolo o sei rispettoso, accogliente, prossimo cioè fai il bene di lui per come è, per il solo fatto che è lì: punto. O lo ignori, lo attacchi, gli imprimi uno stigma, lo irridi, lo violenti, lo uccidi. Il resto: chiacchiere. Le vittime: Alika; un bimbo inuit; un abitante di Odessa; un rifugiato; una donna che vuol ricostruirsi la vita con un altro. La Weil ha scritto negli ultimi mesi di vita (inizi ’43) a Londra i pensieri da cui son partito. La salute le aveva impedito di fare la Resistenza; lei ha lottato con idee giocate in ogni scelta e azione “per il bene” dell’uomo, non “per il male”. Contraddire nei fatti che «in ogni uomo v’è qualcosa di sacro» (o camuffarsi dietro parole vuote) è dire che Weil e milioni di donne e uomini han patito il nazifascismo, combattuto: son morti invano. E muoiono ancora solo perché nati. Poi ci stupiamo. Inaccettabile! Star vigili, sempre, ovunque. Essere uomini è l’eredità che possiamo lasciare. L’unica che vale.
Alika, Simone Weil, Francesco, i piccoli inuit e milioni di loro fratelli
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Marco Garzonio
Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.