Ogni nove minuti, nel mondo, una donna muore di aborto clandestino. Una ogni nove minuti.
In ogni momento, nel mondo, è al lavoro una offensiva contro il diritto delle donne di scegliere sul proprio corpo. È al lavoro negli Stati Uniti come in Russia dove si prepara una legge che vieta l’interruzione di gravidanza nelle strutture private e che ha per sfondo la volontà di incrementare la bassa natalità del paese e così in diversi paesi latinoamericani, in Polonia e, in modo strisciante, anche laddove – come in Italia – una legge c’è e generazioni di donne sono scese negli anni in piazza per difenderla da ripetuti attacchi. Su scala mondiale il 40% delle donne in età fertile vive in contesti che hanno leggi restrittive in tema di aborto; 22 paesi lo proibiscono, moltissimi lo limitano. L’esito è nel numero di cui sopra, la mortalità per aborto clandestino o pesanti conseguenze sulla salute sessuale e riproduttiva delle donne.
Tutto questo, detto in estrema sintesi, rende storico il traguardo che la Francia si appresta, salvo remotissimi colpi di scena, lunedì 4 marzo a tagliare: dopo il voto favorevole a grande maggioranza del Senato, l’aborto entrerà in Costituzione nella seduta plenaria del cosiddetto Congresso di Versailles che raduna le due camere. Dopo due anni di lavori, nati dal timore di scenari antiscelta come è avvenuto negli Stati Uniti, e una convergenza trovata sulla formula che definisce l’aborto come ‘libertà garantita alle donne’ (e non come diritto e qui c’è una eco anche del dibattito che impegna da decenni anche i femminismi di casa nostra), la costituzionalizzazione rende irreversibile la potestà di ricorrere all’interruzione di gravidanza che in Francia è legge dal 1975. Chiaro perché questa decisione venga letta come un messaggio che la Francia lancia a tutto il mondo, facendo da apripista nel blindare il diritto di scelta delle donne: nei commenti dopo il voto in senato si sottolinea ciò che ben sappiamo, ovvero quanto questa libertà sia costantemente minacciata e costantemente da difendere.
Sbaglia chi ritiene questa una battaglia da archiviare, un dritto ormai acquisito: nell’Inghilterra che si prepara finalmente a decriminalizzare l’aborto ancora regolato da una legge del 1861 può capitare, passeggiando per il centro di Sheffield in un sabato di freddissimo sole, di imbattersi nella propaganda pro life più bieca. Giganteschi cartonati che mostrano enormi feti e che ammoniscono a ‘non uccidere’ mentre i e le militanti fermano le donne che passano per spiegare – per carità dolcemente e con il sorriso sulle labbra – come e perché interrompere una gravidanza sia un omicidio. Un piccolo, violento esempio di una battaglia contro le donne che, ad ogni latitudine, non si ferma mai: ha ragione perciò la ministra francese all’eguaglianza tra donne e uomini Aurore Bergé a dire di una conquista ottenuta tanto per le nostre madri che hanno lottato contro la clandestinità dell’aborto quanto per le nostre figlie cui tocca difendere e rilanciare questa libertà.