All’ingresso del capannone, un disegno colorato mette uno accanto all’altro i profili di due città: Bergamo e Kiev. Un accostamento che da queste parti, fino a poco tempo, avrebbe detto qualcosa forse solo a chi proviene dall’Ucraina. Ora invece coinvolge molte più persone.
Da Curno, Bergamo dista una manciata di chilometri. Tre settimane fa, un imprenditore locale ha offerto il suo capannone come base per la raccolta di aiuti umanitari per l’Ucraina. Tre settimane fa, c’è chi di fatto ha cominciato a trasferire qui la propria casa. Da mattina a sera non c’è posto in cui sia più necessario e urgente impiegare il proprio tempo.
Qualcuno scarica borse dalle auto. Parcheggiano nel cortile, si svuotano e ripartono. Qualcuno sposta bancali di scatoloni, qualcun altro separa il cibo dai medicinali, dal vestiario.
È così che s’incrociano vite, storie, lingue e accenti diversi, accomunati dal desiderio unico di tenere vive solidarietà e amicizia. Anche se c’è la guerra, forse soprattutto perché c’è la guerra.
Irina è nata in Russia, ma molti dei suoi parenti sono ucraini, il suo cognome è ucraino, racconta. Da qualche giorno ha messo a disposizione un suo alloggio vuoto per quattro donne fuggite dall’Ucraina con i loro figli.
Le parole dei volontari, le loro origini, i loro affetti azzerano la distanza tra Bergamo e le città colpite dalla guerra. Ivan ha accolto a casa da un paio di giorni la sua madrina, scappata dai
bombardamenti.
A organizzare la raccolta e l’invio degli aiuti è l’associazione culturale ucraina di Bergamo. Yaroslava è la presidente e, tra le molte iniziative di queste settimane, una in particolare ha creato
un ponte speciale tra l’Ucraina, Bergamo e il milanese.
I bambini di cui parla Yaroslava sono orfani, portarli in Italia è stato piuttosto complicato. Ma quel legame stretto nelle ultime settimane tra Bergamo e l’Ucraina, alla fine, è stato più forte.