“Quando sorgerà il sole, Beirut, la mia città, non esisterà più“. Patricia Khoder, giornalista del quotidiano L’Orient-Le Jour, non ha dubbi, la sua Beirut è la nuova Hiroshima.
La tremenda onda d’urto, avvertita fino a Cipro, ha fuso tutto al suo passaggio: Beirut è un cimitero di scheletri di palazzi. Secondo il governatore della città oltre 300 mila persone sono rimaste senza casa e i danni materiali ammontano fino a 10 miliardi di dollari.
Piove sul bagnato in Libano perché il Paese dei cedri è in default finanziario. Quello che veniva chiamato “la Svizzera del Medio Oriente” è oggi un Paese dove il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Alcuni mesi fa per un dollaro bastavano 1500 lire libanesi, oggi ci vogliono quasi 10 mila lire libanesi.
Il debito pubblico ha raggiunto l’equivalente di 78 miliardi di euro, il 170% del suo prodotto interno lordo. Beirut è spesso al buio perché il governo non ha nemmeno i soldi per comprare del combustibile per le centrali elettriche.
Questo venerdì sarà pronunciata dal Tribunale dell’Aja la sentenza sull’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri, ucciso in città 15 anni fa. Alla sbarra quattro membri del movimento sciita Hezbollah. In vista della sentenza, Saad, il figlio di Hariri anche lui ex premier, ha chiesto alla sua comunità sunnita di mantenere la calma.
Ma a gettare benzina sul fuoco, come spesso accade, è stato Donald Trump: “Le esplosioni a Beirut assomigliano ad un terribile attentato” ha detto il presidente USA, senza aggiungere altri dettagli e seminando zizzania in un Paese profondamente diviso, dove ogni fazione è pronta a dare la colpa ai nemici interni o fuori dal Paese.
Solo l’inchiesta ci dirà se l’esplosione è stata accidentale o provocata e, nel caso, da chi?
Il primo ministro Hassan Diab ha detto che tutti i responsabili della catastrofe dovranno darne conto perché a provocare le esplosioni è stato un incendio in un deposito dove erano immagazzinate 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio.
“E’ inaccettabile“ ha scritto in un tweet il presidente della Repubblica Michel Aoun.
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