La decisione della BCE di rialzare i tassi di interesse preoccupa un po’ tutti, anche la stessa BCE che ha deciso di tenere un vertice di emergenza per discutere le condizioni in cui sono piombati i mercati in questi ultimi giorni. Oggi lo spread è in netto calo, almeno per quel che riguarda i titoli di Stato italiani dopo l’annuncio di questo vertice di emergenza. Si prova a rassicurare i mercati e si parla di uno scudo. Di cosa si tratta? Lo abbiamo chiesto oggi a Prisma al nostro collaboratore Andrea Di Stefano:
Lo scudo, presumibilmente, dovrebbe essere una sorta di utilizzo delle risorse che sono state investite con gli acquisti dei titoli e che vanno progressivamente a scadenza e rimangono nel portafoglio della BCE. La BCE potrebbe scegliere di riutilizzare queste enormi somme di denaro per ricomprare sul mercato e continuare a investire ricomprando titoli pubblici per stabilizzare.
Non è certo che si andrà incontro a questa soluzione. Ieri la consigliera d’amministrazione della BCE e membro del comitato esecutivo Isabel Schnabel ha usato parole molto più nette della Lagarde, che ancora una volta su questo fronte si sta dimostrando non all’altezza del ruolo. Schnabel ha detto che non ci deve essere alcun dubbio che, se e quando necessario, possiamo progettare e implementare nuovi strumenti per garantire la trasmissione della politica monetaria. La posizione della consigliera, espressione tedesca della BCE, è che lo scudo contro le variazioni dello spread serve perché non possiamo andare incontro a una nuova fase di instabilità.
Perché la BCE aveva deciso ha deciso di alzare i tassi di interesse per la prima volta dopo dieci anni. E che effetto ha questa scelta sull’economia e sui cittadini?
Di fronte al galoppare dell’inflazione, le banche centrali – prima la FED, poi quelle di altri paesi come Inghilterra e Canada, e poi appunto la BCE – scelgono la solita vecchia stretta monetaria: alzare i tassi e chiudere i rubinetti della liquidità per cercare di contenere il surriscaldamento dei prezzi. Su questo c’è un grosso dibattito tra gli economisti, perché l’impressione, già prima di queste decisioni, è che queste politiche monetarie molto vecchie e questa strategia molto vecchia non siano adeguate al periodo e nemmeno adeguate a far fronte a questa dinamica inflazionistica che non risulta essere strutturale, ma risulta essere una conseguenza prima della ripresa post pandemica e poi della guerra, fattori esterni al sistema economico e non a fattori strutturali interni.
Quanto devono preoccuparsi quelli che hanno il mutuo a tasso variabile?
Un aumento ovviamente della rata è inevitabile per tutti, soprattutto per quelli che hanno il tasso variabile che è legato all’Euribor. È prevedibile un innalzamento, presumibilmente a luglio, di 1/4 di punto, cioè 0,25%, e poi un secondo rialzo preventivato a settembre, che potrebbe essere della stessa entità o leggermente superiore, farà aumentare senza dubbio le rate future dei mutui, ma anche le rate dei prestiti sia per le famiglie che per le imprese. Per ora non stiamo parlando di grandi incrementi, ma è senza dubbio una linea di tendenza che dovrebbe allineare i tassi ufficiali con quelli di mercato. Oggi i tassi sono a zero, mentre sappiamo che a livello di mercato i tassi praticati dei mutui sono intorno al 2,5% e quelli reali sono molto superiori, tra il 4% e il 6%.
E si mette male anche per chi deve accendere un nuovo mutuo, perché sarà fatto con i tassi di interesse più alti…
Senza dubbio, però questo non lo amplificherei troppo. Dal punto di vista delle rate stiamo parlando di un impatto non rilevantissimo. È molto più impattante e rilevante la dinamica complessiva, nel senso che la stretta monetaria potrebbe accelerare la ricaduta dal punto di vista materiale verso la recessione. La stretta monetaria inevitabilmente vuol dire voler raffreddare fisicamente l’economia in una fase di crisi così violenta, legata anche alla fase della guerra e all’andamento fuori controllo delle materie prime energetiche. Il rischio concreto è che si vada verso un un effetto recessivo, cioè che le scelte delle banche centrali producano un effetto recessivo per frenare l’andamento dei prezzi. Questo è il timore principale e anche la critica più sostanziosa che viene fatta a questa strategia vecchio stile della politica monetaria.
Le persone spenderanno meno?
Inevitabilmente spenderanno meno, ma spendono già meno perché alla fine il reddito e le disponibilità sono già erose dall’andamento dell’inflazione e dei prezzi energetici. Il vero nodo è la assoluta totale incapacità, per ora, di mettere un tetto all’andamento speculativo dei prezzi di gas e di energia che stanno producendo difficoltà molto pesanti anche sul lato delle imprese.