La battaglia per liberare Mosul si annuncia come una catastrofe umanitaria per la popolazione civile. Nel primo giorno, 100 bombardamenti aerei e martellamento continuo con l’artiglieria da nord-est e sud, ci dicono i comunicati militari ufficiali.
L’avvio ufficiale delle operazioni militari dell’offensiva per liberare il capoluogo del sedicente califfato lo ha annunciato personalmente il premier Al Abbadi, in qualità di Capo supremo delle forze armate irachene.
Una pioggia di missili, lanciati dalla base aeronautica di Al Qayyara in mano alle truppe Usa, ha colpito le postazioni di Daesh nella periferia sud della città.
Fonti dei Peshmerga curdi informano che nelle operazioni sono impegnate unità missilistiche terra-terra specializzate degli Stati Uniti. L’artiglieria curda invece opera dalla base di Maishiqa, a nord di Mosul. Per il momento le operazioni dell’esercito di Baghdad si limitano ai bombardamenti e non è in corso l’avanzata delle truppe di terra.
I daeshisti si sono ritirati dalla cintura della città abbandonando i villaggi che sono stati conquistati dai peshmerga curdi, unica forza che sta avanzando a terra. I Peshmerga hanno dichiarato di aver liberato senza combattimenti 9 villaggi nella cintura nord ed est di Mosul. Fonti dall’interno di Mosul informano che i miliziani per oscurare i cieli della città hanno incendiato depositi di carburante e cataste di gomme d’auto, creando una fitta di fumo nero.
In un clima di euforia nazionale, l’operazione si avvia in mezzo alle polemiche tra i governi di Baghdad e Ankara e di tensione sul ruolo dei Peshmerqa curdi. E’ una guerra di comunicati e di analisi asettiche. Gli attaccanti per non dare la misura delle distruzioni e morti tra i civili e il sedicente califfato, per non mostrarsi debole e in difficoltà. Due strategie mediatiche contrapposte, ma che danno lo stesso risultato.
Fonti governative sostengono che un convoglio di Daiesh è stato colpito da un missile Usa e sarebbe stato ucciso un alto capo delle guardie del corpo del falso califfo. L’offensiva sembra coordinata con una rete di informatori all’interno della città. Infatti, il falso califfo si sarebbe salvato da un bombardamento contro il suo convoglio, mentre era in fuga dal bunker a Mosul. Nell’attacco missilistico è morto il capo delle forze speciali di sua protezione personale, Abu Mussa Al Moghrabi.
Le truppe del governo di Baghdad, a 24 ore dall’inizio delle operazioni, sono ancora lontane dal centro urbano e non hanno ancora ingaggiato scontri diretti con i miliziani assediati. Da Irbil, il presidente Barazani ha parlato di una positiva cooperazione tra le forze di Baghdad e quelle dell’autonomia curda. Il timore serio è quello della presenza delle milizie sciite Hashd Shaabi, che agiscono su base confessionale settaria, contro i sunniti. La tensione tra Al Abbadi e Erdogan è su questo punto: il timore di vendette settarie da parte dei vincitori contro la popolazione inerme, come avvenne a Ramadi e Fallouja. Per questo, l’esercito governativo ha assegnato alle milizie Hashd ruoli di retroguardia.
Daesh ha diviso Mosul in 63 zone militari, ma non ha la capacità tattica di difendere tutti i quartieri e si sta fortificando nelle zone occidentali. La loro tattica è quella delle autobombe contro le truppe che avanzano, le trappole e le mine, nelle strade e negli edifici che abbandonano. L’agenzia Aamaq, portavoce web ufficiale del sedicente califfato, dà notizia di 3 camion bomba guidati da kamikazi che sono stati lanciati contro i Peshmerga curdi e posta foto di esplosioni ripresi da lontano.
Il punto debole della strategia degli attaccanti è la protezione della popolazione civile. Mancano le vie di fuga e i civili rischiano di fatto di diventare scudi umani del Daesh. Un milione di abitanti che non hanno scampo e vivranno per mesi sotto le bombe e in mezzo alle sparatorie. Non ci sono campi di accoglienza per gli stimati 700mila sfollati in fuga che cercheranno scampo, una volta scappati i miliziani jihadisti.
Secondo i dati dell’Onu in città sono intrappolati circa un milione di abitanti. Si stima che le operazioni in corso provocheranno lo sfollamento di almeno 700 mila di loro, ma le strutture di accoglienza pronte potrebbero assorbirne soltanto la metà. Si rischia una emergenza umanitaria di spaventose dimensioni. La strategia degli attaccanti è quella di lasciare soltanto una via di fuga verso occidente in direzione del confine siriano. Scelta dettata dal timore di infiltrazioni di miliziani tra i civili in fuga, come avvenne a Ramadi e Fallouja. Ma ci sono anche timori che i miliziani sciiti di Hashd Shaabi, che attualmente sono tenuti nelle file di retroguardia dei governativi, compiano delle azioni di vendetta se entrassero in città.
E’ una guerra che appare senza distruzioni e morti. I comunicati ufficiali non ne parlano né arrivano foto sugli effetti delle bombe. Sui social network vengono invece postate delle immagini terribili di distruzioni.