La mia generazione ha visto lo stigma della morte su bambini scampati ai bombardamenti. Ma ha partecipato anche alla mobilitazione generale e a iniziative specifiche per recuperare l’anima oltreché la funzionalità dei corpi oltraggiati dalle bombe. I “mutilatini di don Gnocchi” fu esempio di risposta alle armi e di futuro. Nasceva nel contesto condiviso di Ricostruzione morale prima che materiale. Mai più la guerra fu il vissuto che fece recuperare, integrare, risorgere la vita. La tragedia di oggi invece presenta due aspetti che uccidono il domani colpendo a morte i bambini. Primo: bambini vengono ammazzati, mutilati, resi orfani con determinazione che solo un cupio dissolvi dell’umanità può spiegare. Nulla lascia immaginare che grandi potenze e alleanze abbiano in mente di ricostruire speranza e fiducia. Altrimenti qualcosa di concreto sarebbe stato fatto per fermare Netanyahu e negoziare con Putin un anno dopo il 7 ottobre, progrom di Hamas, e quasi tre dall’invasione dello zar il 24 febbraio ‘22. Solo parole per dire a Tel Aviv che la reazione giustificata stava diventando sproporzionata, invece di sospendere l’invio di armi; flusso continuo di munizioni a Kiev, al posto di iniziative diplomatiche volte costruire condizioni d’un negoziato in cui si deve conceder qualcosa non anteporre la vittoria. Secondo aspetto: la distruttività bellica sui civili in particolare su bambini e donne (si vedano i reportage su Gaza, Cisgiordania, Doha di Francesca Mannocchi) ha portato alla luce furie inimmaginabili, toccato affettività remote, nuclei emotivi irrisolti, raggiunto dimensioni materiali e radicalità da far paventare un punto di non ritorno. Se non si riesce a fermarsi c’è da prospettare sia in atto un meccanismo psichico orribile: si teme che anche col cessate il fuoco non si riesca a pensare a pace e convivenza; s’ha paura sia restituito odio tanto se n’è seminato. L’odio è paralisi. I bambini che nascono e giocano liberi sono il futuro anche ci fossero molti “mutilatini” dopo l’ennesima guerra ma fosse superato l’odio. Forse non stiamo facendo abbastanza per urlare a Tel Aviv, Washington, Bruxelles, Mosca, Kiev, Roma: basta, in nome dei bambini!
Basta, in nome dei bambini!
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Autore articolo
Marco Garzonio